A Francoforte, io ci vado. I piagnistei sono infantili

Le scelte sono legittime e per niente di parte. Chi grida alla censura è malato di protagonismo

A Francoforte, io ci vado. I piagnistei sono infantili
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Caro Mauro Mazza desidero ringraziarti pubblicamente per il tuo invito e confermarti la mia presenza alla Fiera di Francoforte. Ce la metterò tutta perché l'Italia faccia una bella figura, perché il tuo lavoro venga premiato. Sai qual è la nostra fortuna? La democrazia. Nel nostro Paese ci sono democrazia e libertà. Prima c'era un governo che aveva scelto delle persone per affidar loro incarichi di gestione politica, economica, culturale; oggi ce n'è un altro, democraticamente eletto, che ha preso le sue decisioni e fatto le sue scelte. Nessun colpo di Stato. Dal precedente governo, caro Mazza, non saresti stato messo dove sei e dove stai svolgendo il tuo ruolo con molto equilibrio e apertura culturale. Carlo Rovelli non sta dalla tua parte politica, e l'hai scelto; Claudio Magris non sta dalla tua parte politica, e gli hai affidato un compito importante; Dacia Maraini non sta dalla tua parte politica, e le hai dato un compito importante; Alessandro Baricco non sta dalla tua parte politica, e gli hai affidato un incarico importante. Hai fatto caso che coloro che si indignano e gridano alla censura sono tutti romanzieri? Sai perché? Te lo spiega Hegel nella sua Estetica. Perché sono infantili. Da un lato, questo infantilismo è affascinante: per raccontare storie, bisogna regredire, ritrovare il sentimento emotivo della prima adolescenza, l'innocenza dell'infanzia. Dall'altro, l'infantilismo genera degli adulti bambini, e quelli viziati, quando perdono nel gioco, a cui pretendono di vincere sempre, frignano e battono i piedi per terra come i piccoli. Tra le dichiarazioni che ho letto, prendi, per esempio, in considerazione quanto ha detto Paolo Mieli, che ha apprezzato il tuo lavoro, pur non essendo della tua parte politica. Mieli non è un romanziere, non è un bambino capriccioso.

Adesso, caro Mazza, mi dirai: «Tu che stai facendo il sapiente, dove ti metti che hai scritto anche una decina di romanzi? Come ti senti? Come un bambino modello, un bambino ben educato che non rompe le scatole?». Mi sento un professore, con il malcelato orgoglio di essere stato il più giovane ordinario di filosofia quando nel 1979 ho vinto la cattedra, e di aver insegnato nelle due più prestigiose università italiane: Padova e Milano. La mia professione, insieme alla saggezza ebraica di mia madre («Stai con chi ti vuol bene, gli altri ignorali»), mi ha evitato di frequentare le cattive compagnie del gruppuscolo degli intellettuali romanzieri.

Trovavo però seducente l'idea di provare anch'io a regredire nella mia adolescenza. E così, dopo un faticoso lavoro di ricerca, pubblicato in un saggio, avevo pensato di scrivere un romanzo. Vedendo che quella regressione mi aveva dato un sacco di soldi, con cui avevo comprato la mia bellissima casa, ho continuato a scrivere di tanto in tanto romanzi e a comprare case, non fidandomi di lasciare i soldi in banca.

A Francoforte parlerò di bellezza. A proposito, caro Mazza, ti ricordi con quanta acredine ero stato censurato quando quarant'anni fa incominciavo a sottolineare l'importanza del concetto di bellezza nella cultura contemporanea? Oggi, a ogni angolo di strada, senti dire che la bellezza salverà il mondo (e a questo punto bisognerebbe salvare la bellezza dal mondo), ma allora, a quei tempi? Venivo deriso: la bellezza, si diceva in coro, è contro il canone moderno, è reazionaria, la bellezza è fascista, «giovinezza, giovinezza primavera di bellezza».

Ma tra gli idioti, basta uno intelligente per cambiare le cose. Fu Giulio Bollati. Lui, che non era né dalla mia parte culturale né politica, mi disse che, pur non condividendo le tesi che sostenevo, mi avrebbe pubblicato il libro che gli proponevo perché, comunque, lo riteneva importante, e volle che il titolo fosse semplicemente La bellezza. Ho ricordato tutto questo nell'introduzione a una nuova edizione del libro.

Ma, quante critiche, offese Venivo censurato, però non mi sentivo censurato, sia perché credevo fermamente nei miei studi, sia perché seguivo scrupolosamente il monito di mia madre. Sai perché, caro Mazza, i nostri romanzieri si sentono censurati e frignano sentendosi perseguitati pur essendo sempre in TV, pur essendo sempre sulle prime pagine dei giornali, pur essendo sempre acclamati campioni dell'antifascismo, dell'antimelonismo, dell'anti, anti? Perché non credono nel loro lavoro, dubitano di se stessi. Ed è assolutamente comprensibile: il romanziere è una figura intellettuale drammatica: o è veramente bravo o è nessuno. Non c'è via di mezzo.

La via di mezzo la si trova nel presenzialismo, nel voler essere sempre nominati, cercati, E bisogna frignare per farsi ricordare, per non essere nessuno: appunto, è il più ridicolo infantilismo. Ma tu, caro Mazza, hai mostrato la banalità di quel gioco: ti hanno dato una mano la democrazia del nostro Paese, la libertà, l'antifascismo. Ci vediamo a Francoforte, o anche prima. Ciao

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