Paolo Bugatto
Il palcoscenico non era quello di Twickenham. Ma ieri sull'erba del «San Michele» cera anche lui. Dal primo minuto e soprattutto per meriti tutti suoi, come tiene a sottolineare l'allenatore dei Cardiff Blues, Dai Young. Jonah Lomu, la leggenda degli All Blacks è tornato. L'uomo in più per definizione, la gemma in grado di trasformare una partita scontata in un evento. Primo match ufficiale dell'ala che con gli All Blacks ha segnato 37 mete in 63 incontri, che ha distrutto il morale dell'Inghilterra durante il mondiale del '95 e che più di ogni altro, per i profani, ha identificato il rugby.
Un'apparizione l'aveva fatta in occasione della partita d'addio del capitano dell'Inghilterra Martin Johnson. Poi un infortunio alla spalla, l'ultima tegola dopo il trapianto di reni che aveva fatto temere qualcosa di più del semplice addio alla carriera. Ora di nuovo in campo, a Calvisano. A fare il gregario, a smistare palloni come un comprimario qualunque. Jonah Lomu non è più lo stesso, i suoi scatti sono prevedibili, la potenza è inespressa, lo sguardo sembra malinconico. È lontano parente del fenomeno, ma è convinto di farcela. Sembra dire al mondo: abbiate pazienza. «Sono uscito dal tunnel e ho ricominciato a giocare. Ho tanta fiducia di poter far bene; la maglia numero 11 mi affascina sempre. È stato un passo importante nella direzione che mi ero prefissato di affrontare. Mi sono allenato duro per sei mesi e sono felice che mi sia stata data l'opportunità di giocare da parte di tutto lo staff tecnico del Cardiff che ha tanto creduto in me». Gli chiedono se pensa di poter tornare negli All Blacks. «Se non mi fossi prefisso questo obiettivo, probabilmente non sarei qui ad allenarmi e a giocare... È chiaro, la Nuova Zelanda in questo momento sta consolidando la sua incredibile leadership nel ranking mondiale. Ma io non posso lasciare nulla di intentato per riprendermi quella maglia... Uscire dal tunnel è stata un'odissea. Il trapianto di reni è stata la chiave di volta. Prima non potevo far nulla. Solo le dialisi. Poi è stata una continua ricostruzione, fisica prima e mentale poi. Un grande aiuto me lo ha dato mia moglie Fiona e l'ex dottore degli All Blacks che con me ha fatto questa scommessa. Ma in tanti mi sono stati vicino. Non sono mai stato lasciato solo. È anche merito loro se questa scommessa è vinta. Ma si tratta solo del primo passo. Toccherà a me conquistare il posto in squadra e soprattutto continuare a segnare mete, la mia specialità».
Sì, perché in questi 60 contro il Calvisano si è capito che non è lombra del fuoriclasse che fu, però poco ci manca. Ma, forse, se il Calvisano avesse complicato un filo di più la vita al Cardiff (10 a 25 il finale), Jonah ci avrebbe regalato qualcosa del vecchio Lomu.
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