Il frullatore di emozioni che colora l'adolescenza

Da domani il film d'animazione che racconta a figli e genitori come affrontare ansia e noia

Il frullatore di emozioni che colora l'adolescenza
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Chi l'ha detto che l'hockey su ghiaccio è sport per uomini duri... Riley ha tredici anni e un presente fatto di pattini e un dischetto che deve volare in porta. A tradirla è la sua adolescenza. Età inquieta, eternamente alle prese con un frullatore di emozioni che, nel nuovo Inside out 2, prendono corpo in pupazzi animati con le voci celebri di Pilar Fogliati (Ansia), Deva Cassel (Noia) - più nota in questi suoi 19 anni come la figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel - oltre al talento in erba della sedicenne Sara Ciocca che fa parlare la piccola protagonista, rispetto alla quale è solo di poco maggiore.

Non importa quante partite vincerà la piccola Riley e nemmeno quanti goal farà nella porta avversaria perché il nuovo film Disney-Pixar - nelle sale da domani dopo il brillante avvio al botteghino americano - parla a ragazzini e ragazzoni nella stessa misura in cui si rivolge agli adulti. In particolare a papà e mamma, a vario titolo anch'essi coinvolti e travolti da quel mistero oscuro che è l'adolescenza dei loro figli. Un modo insomma per capirli un po' di più, osservando le movenze di Noia, Imbarazzo, Rabbia, Ansia, Invidia, Nostalgia e Gioia che caratterizzano giorni e comportamenti dei teenager.

«Ho avuto due genitori che mi hanno insegnato a guardare alla noia senza paura né sensi di colpa. Se non prende il sopravvento non è negativa» confida Deva Cassel che ha un ricordo fresco di quell'età convulsa. «Ho in testa tante caselline che si sovrappongono e trasmettono messaggi contrastanti - dice Sara Ciocca -. Con il tempo si diraderanno, oggi agitano i miei giorni». «Quando la produzione mi ha detto Sarai la nostra Ansia non capivo più se esserne contenta o spiazzata. Ho preferito la prima e ne ho riso ma quella agitazione la ricordo bene» ha commentato Pilar Fogliati.

Al di là di Riley e dei suoi turbamenti, il piatto forte di Inside out 2 sono proprio le emozioni. E i loro colori. La Rabbia, rossa. Capace di infiammarsi e bruciare. L'Invidia verde e volontariamente di piccola statura perché guarda tutti dal basso in alto. «L'abbiamo voluta connotare in modo positivo - dice il regista Kelsey Mann - pensando a chi vorrebbe essere quello che non è, più che al modo comune di vederla nei panni di chi vuol possedere quello che hanno gli altri. Volevamo inserire anche la Gelosia, come sua sorella gemella, poi abbiamo deciso di lasciarla fuori. In fin dei conti con questa storia non c'entrava molto. Non è detto che non rientri in una puntata futura».

Già. Nell'era della serialità c'è chi ipotizza un terzo capitolo. «Presto per dirlo - aggiunge il regista -. Cominciate a vedere il secondo». E l'appello è ampio perché il valore aggiunto di questo Inside out 2 è quello di non essere riservato a chi abbia visto il primo episodio. Mancano collegamenti consequenziali, tutti possono capire e apprezzare pur avendo perso il film del 2015. Nove anni per un seguito sono molti ma l'obiettivo è centrato e addirittura superato. Meglio il 2 dell'1, si direbbe colloquialmente. Meglio questa tra le ultime fatiche targate Disney, aggiungerebbe il critico, nostalgicamente ancorato ai titoli del passato più lontano.

Chissà che i pupazzi e le loro simpatiche allegorie non insegnino qualcosa anche agli adulti più spocchiosi, convinti di sapere tutto per il fatto di essere già stati bambini. Anche se i ragazzini di oggi sono profondamente diversi da quelli di allora. Non c'erano i telefonini ma nemmeno l'ansia - vedi un po' corsi e ricorsi - di prestazione. Riley deve vincere la sua partita e l'emozione arancione, violenta e ansimante, le mette i bastoni tra le ruote almeno finché non prevale la Gioia. Rassicurante come la decisione di respingere le palline dei brutti ricordi là dove fatichino a riemergere. E dove il flusso delle emozioni si sintetizzi in una fetta di pizza viaggiante, a forma di barchetta, sul fiume inestinguibile dei giorni.

Il cattivo, a cui tanta parte della Disney ha sempre abituato i suoi piccoli e grandi spettatori, stavolta non

c'è. Il cattivo è quel lato oscuro di ognuno di noi che si sforza di trasformarci in quello che non siamo. Le negatività non sono la sua arma ma la sua patologia. E la cura non la prescrive il medico. Si trova nel cuore.

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