Il futuro è un medioevo ma libero e digitale Web di destra - Di' la tua opinione nel forum

I mercanti dell’epoca comunale hanno inventato il mondo moderno. Ora il loro spirito rivive in Rete. Anche se le masse guardano altrove. Il commercio ha ucciso il feudalesimo, i blog il pricipio d'autorità. Verità e sincerità sono virtù fondamentali per i navigatori

Il futuro è un medioevo ma libero e digitale 
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Si conclude oggi la serie di articoli su Internet visto da destra, per evi­denziare come sia possibile un altro web, in linea con i principi libera­li. Dopo gli interventi di Andrea Mancia, di Leonardo Facco, di Alber­to Mingardi e di Carlo Lottieri chiude il dibattito Vittorio Macioce.  

Henri Pirenne avrebbe detto che in fondo siamo fortunati. Lo storico francese nel 1927 scrisse un saggio su Le città del Medioevo. Ogni volta che ripenso a quello che è avvenuto negli ultimi tre lustri mi viene in mente il suo nome. Pirenne racconta la nascita di quelle isole di società aperta, ancora incerte e insicure, in una galassia di feudi. Sono appunto quelle città che nel X secolo rompono i tradizionali rapporti dell’individuo con il potere. Sono una frattura. È la nascita dell’Occidente, una fuga verso la libertà.
Queste città nascono intorno a un mercato, che è un luogo dove si scambiano merci, ma anche idee, conoscenze, dove si intrecciano relazioni, qualcosa di nuovo e avventuroso rispetto alla comunità tradizionale della società chiusa feudale, dove l’orizzonte e i confini sono quelli della terra, qualcosa di concreto, solido, perfino rassicurante, e con rapporti sociali rigidi. Tu sei quello che nasci. Il tuo destino è già scritto, segnato, predisposto. La città, in quel momento storico, rappresenta invece un concentrato di libertarismo, l’uomo sceglie la responsabilità e il rischio di disegnare sulla mano la linea della sua fortuna. Sceglie di indossare l’identità che più gli assomiglia, quella che a torto o a ragione sente sua. Non è un viaggio semplice. Questo mercante con l’ansia della libertà è un pioniere che si muove in un mondo che gli è ostile. È un deviante, che rinnega i principi della Chiesa e del potere laico. È un nemico dell’ordine costituito. C’è in lui qualcosa di anarchico e di blasfemo, condito con una voracità e un’ambizione sovrumana. La sua filosofia di vita si può riassumere con un «siate affamati, siate folli».
È per questo che ogni volta che ti chiedono di parlare del web pensi a questo signore francese, patriarca della storiografia sul Medioevo. Chissà cosa avrebbe pensato Pirenne della nascita della rete, dei social network, di questi orizzonti che all’improvviso diventano sempre più vasti e immateriali? Qualcosa che supera gli Stati tradizionali, con un sapere confuso e popolare che straborda dai canali della cultura e dell’informazione e si riversa in un metamondo dove il confine tra vero e falso, individuale e collettivo, copyright e open source è sottile, ambiguo e in continuo divenire. Le città medioevali non nascono da un’architettura razionale. Sono casuali, improvvisate, il flusso degli eventi dipende dalle relazioni tra gli individui, tra i gruppi di interessi e ogni scelta è gravida di conseguenze infinite, difficili da prevedere o da ingabbiare. La storia poi ci dirà che questo «stato nascente», questa situazione inebriante, durerà poco. I litigi tra le corporazioni e il potere soffocheranno in fretta la vocazione libertaria delle origini. A un certo punto per fuggire da una guerra tra bande e fazioni, una sorta di tutti contro tutti, i capibastone cittadini affideranno il loro destino a un signore, un podestà, qualcuno super partes, spesso un capitano di ventura straniero. A quel punto la città torna ad essere un’altra cosa.
Quello che a Pirenne interesserebbe se si fosse trovato a fare i conti, come accade a noi da testimoni oculari, con social network, blog, motori di ricerca e roba simile sono i principi culturali di queste «nuove città», con le sue cattedrali e le sue università. È un mondo dove i vecchi «chierici», con la patente ufficiale in carta da bollo, smarriscono inesorabilmente il loro ruolo. Al loro posto ci sono soggetti che ai contemporanei appaiono più o meno come barbari, gente che sta rinnegando i pilastri della vecchia cultura. Ma chiunque siano questi «mercanti» o «costruttori» per fare fortuna devono sviluppare gli stessi valori dei «mercatores» medioevali: coraggio, intraprendenza, individualismo, ansia di ricchezza, spirito libertario e una ricca rete di rapporti e conoscenze. La forza delle città medioevale era la sua apertura, la condivisione si tramutava in potere. Ma quali erano i tesori dei mercanti? Qualcuno dirà che dovevano essere ricchi. Non del tutto. Serviva un capitale di partenza, magari da chiedere in prestito alle prima banche. Ma era una condizione necessaria ma non sufficiente. I mercanti di successo dovevano essere lesti nell’intercettare le informazioni che vagavano in giro. Dovevano avere una rete di conoscenze e dei punti fermi dove approdare. Ma soprattutto dovevano fare i conti con l’etica. In un mondo malfidato come quello medioevale la buona reputazione era tutto. Il mercante era costretto a mostrarsi senza maschere, vero, affidabile. Pensateci. Il web non cancella nulla. C’è una dittatura della memoria. Se dici cazzate prima o poi ti scoprono. Se il tuo profilo è falso prima o poi ti sgamano. Ogni tua azione, pensiero, parola, filmato che finisce in rete prima o poi rischia di saltare fuori. La verità è la virtù fondamentale di chi si muove sul metaverso.

Il web non è né di destra né di sinistra, ma i suoi pionieri lo hanno attraversato con lo stessa filosofia libertaria e individualista dei mercatores. Quello che faranno, e stanno facendo, le masse è invece un’altra storia.

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