Alle Gallerie d'Italia si celebra, come mai era stato fatto prima, la quintessenza della creatività cittadina: «Il genio di Milano. Crocevia delle arti dalla Fabbrica del Duomo al Novecento» dimostra quanto la peculiarità di Milano stia da sempre nella sua capacità di attrarre e assorbire talenti da fuori. Il progetto, realizzato sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, organizzato da Intesa Sanpaolo con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana e le più importanti istituzioni milanesi (Veneranda Fabbrica del Duomo, Brera, Diocesano, Poldi Pezzoli, Braidense, Castello Sforzesco, GAM, Museo del Novecento, Museo della Scienza e della Tecnologia), si avvale di un poker curatoriale d'eccezione (Marco Carminati, Fernando Mazzocca, Alessandro Morandotti, Paola Zatti).
Dieci secoli di storia meneghina sono evocati grazie a 140 opere tra dipinti, marmi, manoscritti, disegni, sculture. Un dipinto ottocentesco, «La corte di Ludovico il Moro», di Giuseppe Diotti, in prestito dal Museo Civico di Lodi, è l'immagine-simbolo della mostra che comincia con scenografico allestimento rievocando l'apertura nel 1386 della mitica e tuttora vitale «Fabrica del Domm» dove, fin da subito, sono ingaggiati ingegneri transalpini. Per capire come tenere in piedi il tiburio viene chiamato Donato Bramante da Firenze, poi arriva Leonardo, cui la mostra dedica una delle sezioni più seducenti (la chicca è la lettera autografa in cui promette a Ludovico il Moro servigi di ogni tipo). Ricostruita la sua intensa attività in città e l'influenza sui pittori lombardi del Cinquecento, si passa alla quadreria seicentesca di Federico Borromeo, arcivescovo e raffinato uomo di lettere e arti: qui, nature morte di fiori e frutta strizzano l'occhio allo stile fiammingo.
Pochi anni dopo, in città si cambia stile grazie all'influenza delle vorticose pennellate del veneto Sebastiano Ricci. A Giuseppe Piermarini, Imperial Regio Architetto che nel Settecento progetta la Scala, è dedicata una sala di disegni che precede quella dei dipinti degli artisti chiamati da Roma nel periodo napoleonico, bravi a nutrire l'immaginario visivo di Andrea Appiani, che avrebbe poi affrescato Palazzo Reale.
Nell'Ottocento Francesco Hayez da Venezia porta uno spirito nuovo e gagliardo su tela e anche le migliori firme novecentesche del Divisionismo arrivano da fuori città (Previati è ferrarese, Pellizza piemontese, Segantini trentino): lo stesso Boccioni, campione del Futurismo, approda a Milano solo dopo un lungo pellegrinaggio in Europa.
Il percorso si chiude su Lucio Fontana (1899-1968): arrivato dall'Argentina, a Brera intraprende la sua straordinaria parabola artistica, dalla figurazione all'astrazione. Vale la pena indugiare sul suo bozzetto, mai completato, per la quinta porta del Duomo: è il corrispettivo novecentesco del portale medievale da cui questo suggestivo percorso espositivo è iniziato.
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