
In un momento storico in cui il termine «genocidio» ricorre con frequenza nel dibattito politico, spesso evocato a sproposito, colpisce il silenzio o la sottovalutazione di uno dei più tragici genocidi della storia: quello armeno. Eppure ricorrono 110 anni dallo sterminio di circa tre milioni di armeni avvenuto tra 1915 e 1916 durante l'Impero Ottomano ma, ancora oggi, varie nazioni, tra cui la Turchia, non lo riconoscono. Il genocidio perpetrato dagli ottomani ha segnato per sempre la storia del popolo armeno che ne ha tenuta viva la memoria grazie a romanzi, canzoni, film e memoriali a partire da quello eretto a Yerevan. Nella storia della letteratura rimarranno alcuni libri incentrati proprio sul genocidio armeno, a cominciare da I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel. Scrittore ceco di origine ebraica, in un viaggio nel 1929 a Damasco con la moglie Werfel conosce numerosi esuli armeni sopravvissuti al genocidio e decide di scrivere il suo libro che uscirà nel '33. È la storia di un gruppo di sette villaggi armeni situati alla base del monte Mussa Dagh che si oppongono con le armi ai turchi.
Nel 2004 la scrittrice italo-armena Antonia Arslan ha pubblicato un romanzo che ha ottenuto successo in Italia, La masseria delle allodole, ispirato ai racconti dei suoi familiari sopravvissuti al genocidio. La Arslan fa emergere un altro aspetto della persecuzione degli armeni, non solo le uccisioni di massa, ma anche i rastrellamenti dei Giovani Turchi e le deportazioni in cui le famiglie armene persero tutto.
In occasione dell'anniversario per i 110 anni dal genocidio, la casa editrice Liberilibri ha pubblicato un libro di Vittorio Robiati Bendaud: Non ti scordar di me. Storia e oblio del genocidio armeno. Il titolo prende spunto da un piccolo fiore perenne chiamato nontiscordardime e scelto come emblema del Metz Yeghérn, il genocidio armeno. Robiati Bendaud, studioso dell'ebraismo, fa notare come la Turchia, erede dell'Impero Ottomano, non sia stata sanzionata come accaduto alla Germania dopo il nazismo. Pur essendoci differenze tra Shoah e genocidio armeno è infatti impossibile non cogliere un parallelismo tra i due eventi.
Ripercorrendo la storia armena, Robiati Bendaud arriva ai nostri giorni e alle persecuzioni che gli armeni vivono nei territori dell'Artsakh (o Nagorno-Karabakh). Ancora oggi, spiega l'autore, avvengono fenomeni di negazionismo del Metz Yeghérn, e sostiene che il genocidio armeno è «tuttora in essere». Robiati Bendaud si sofferma su come il genocidio armeno abbia rappresentato per Hitler uno spunto per il piano di sterminio degli ebrei: «l'interrogativo retorico attribuito a Hitler chi si ricorda più del massacro degli armeni?, laddove solitamente si pensa all'oblio come a un formidabile alleato nell'opera genocidaria, evidenziando così la fiducia riposta dal Fürher in un dispositivo mnemonico al contrario per garantirsi l'impunità». In realtà, scrive l'autore, Hitler aveva bene in mente quanto avvenuto nell'Impero Ottomano: «se è stato fatto, può essere compiuto nuovamente. Non solo. Egli ricordava distintamente con quali modalità ciò era stato perpetrato, ossia con la negazione dei fatti nel momento stesso in cui accadevano, con i tipici dispositivi negazionisti di inversione della colpevolezza, laddove il carnefice è giustificato e la vittima è colpevolizzata e demonizzata».
Così, se nella visione giustificazionista dei Giovani Turchi erano gli «armeni a nuocere ai turchi», allo stesso modo «se c'è l'antisemitismo è colpa degli ebrei». Ma i parallelismi, purtroppo, non terminano qui poiché il negazionismo riguarda tanto gli armeni quanto gli ebrei: «Fu il negazionismo, magistralmente perseguito e realizzato, a permettere questa conflagrazione, densissima e contraddittoria, tuttora in essere, tra oblio e ricordo, che ha contribuito a mantenere sotto scacco la memoria condivisa del Metz Yeghérn». Secondo l'autore «la saldatura tra Metz Yeghérn e Shoah, laddove convergono e conflagrano antisemitismo, dhimma, nazionalismi, panislamismo, radicalismo islamico, con un esito genocidario, giungendo sino alla più scottante nostra attualità, costituisce un unicum». Robiati Bendaud conclude sostenendo che «l'antiebraismo sia stato il veicolo e l'archetipo per l'antiarmenismo in Europa». Si tratta di una lettura che trova conferma nel fondamentalismo islamico che mette nel mirino sia gli armeni sia gli ebrei. Come scrive Antonia Arslan nella postfazione: «Noi abbiamo visto, ora per ora, giorno per giorno, la rovina e la resistenza eroica! dell'Artsakh armeno, nel silenzio del mondo, distratto da altro. Noi abbiamo visto i fatti tremendi del 7 ottobre».
Anche per questo oggi è importante perpetrare la memoria del genocidio armeno e, al tempo stesso, rivendicare il corretto uso delle parole quando ci si riferisce alla storia. Non mancano d'altro canto numerose opere che indagano a fondo quanto avvenuto 110 anni fa, dai libri di Marcello Flores agli studi di Aldo Ferrari, fino a Metz Yeghérn. Breve storia del genocidio degli armeni di Claude Mutafian e a Il genocidio armeno. Una storia lunga un secolo di Omar Viganò.
Non c'è però opera più significativa del Viaggio in Armenia di Osip Mandel'tam il cui incipit trasmette la spiritualità di una terra che non meritava di subire ciò che ha vissuto il suo popolo: «Sull'isola io ho vissuto un mese, godendo dell'immobilità dell'acqua lacustre a un'altezza di quattromila piedi e avvezzandomi alla contemplazione di due o tre decine di tombe disseminate alla maniera di aiuole tra le residenze monastiche ringiovanite dai restauri».
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