Al Ducale va in scena la mostra che sembra uno spettacolo teatrale

(...) Centro-Ovest, proprio in via Sampierdarena: da gioiello nascosto dalle impalcature, scrostato e quasi addobbo naturale conseguenziale ai loschi traffici dell'angiporto e alla vendita del sesso a cielo aperto di lungomare Canepa, a gioiello vero, meraviglioso, degno di entrare nelle guide turistiche. E lo stesso si può raccontare per tante stradine, vicoli e palazzi fra via Cantore e piazza del Monastero, fra via Buranello e piazza Modena, tutto ciò che circonda il teatro. Squarci degni dei libri di architettura e delle riviste patinate. Addirittura con colori come quelli di via Palazzo della Fortezza che sembrano quasi set naturali, cartoline di Bellezza a cielo aperto.
Ecco, il Modena in tutto questo è perfettamente a suo agio. Se quelle sono le quinte, il teatro è il palco. Se quello è il palco, le due sale dell'Archivolto sono la platea. E questo può avvenire quasi esclusivamente al Modena e alla Sala Mercato dove, ogni tanto, il talento visionario e onirico di Giorgio Gallione e del suo scenografo Guido Fiorato ribaltano il concetto stesso di teatro e trasformano la platea in scena e portano gli spettatori sul palco: è successo con Spoon River ispirato a De Andrè, ed è successo con La cena delle ceneri che raccontava splendidamente Pier Paolo Pasolini.
Tutte queste atmosfere si ritrovano perfettamente nella mostra al Ducale, probabilmente l'idea-capolavoro di sempre di Luca Borzani. Che, in qualche modo, vale più degli impressionisti o dei kolossal di Marco Goldin. E non solo perchè lì si pagava profumatamente l'ingresso, mentre qui è gratis. Il problema è che lì si ragionava in chiave quasi industriale, mentre qui siamo nei dintorni del miglior artigianato.
E la chiave per capire tutto questo è proprio Fiorato. Perchè la mostra sui trent'anni (di teatro) di Gallione - ma lui ne dimostra una trentina anche d'età - ha proprio nel lavoro dello scenografo il suo centro. E al Ducale sono ri-allestite alcune delle più belle scenografie della carriera della premiata ditta Gallione-Fiorato: le radiografie de La lunga notte del dottor Galvan di Neri Marcorè o i bicchieri di plastica di One Hand Jack. Che poi, quasi per una legge di Lavoisier applicata al teatro, per cui nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, riappaiono per miracolo nel (terribile) Ciò che vide il maggiordomo e nelle emozionanti letture gaberiane.
E poi sono da non perdere i modellini con le anteprime delle scenografie, piccoli gioielli che arricchiscono la mostra. Addirittura più interattiva di quella dedicata a Fabrizio De Andrè. Perchè, se lì si giocava tanto con i touch-screen e con la tecnologia base del lavoro degli allestitori di Studio Azzurro, qui l'interattività è quella che si riesce a creare con le emozioni e con la ricostruzione di ciò che abbiamo provato quando è andato in scena uno o l'altro spettacolo. E vi assicuro che è anche meglio. E poi c'è un altro aspetto. Se il lavoro di Giorgio Gallione, straordinario regista con un suo marchio di fabbrica - di cui amo moltissimi spettacoli e ne detesto pochi, di cui sono stato il peggiore stroncatore al mondo - è paragonabile a uno splendido lavoro di cesello e di artigianato di pregio, occorre anche avere il coraggio di dire che tutta la factory Archivolto è come il migliore artigianato: crea posti di lavoro, porta indotto, fa finire Genova sulle pagine dei giornali, grazie alle grandi star che si fidano di Giorgio e Pina e quindi accettano le sfide più impensabili e a basso cachet proprio perchè sanno di poter contare su di loro.
Eppure, se paradossalmente domani l'Archivolto dicesse che dopodomani chiude, non partirebbero le manifestazioni che si scatenano per Fincantieri, Ansaldo Energia o l'Ilva. (Piccola parentesi: per un paio d'anni, fra l'altro, l'hanno detto, un po' come il partito radicale quando spiegava che avrebbe chiuso da un momento all'altro, con campagne tipo: «O lo scegli o lo sciogli». Poi, fortunatamente, come i radicali non hanno mai chiuso).


Qui sta il problema: perchè, invece, l'Archivolto crea cultura, lavoro e fatturato, come ha dimostrato più volte il teatro sampierdarenese vincendo i biglietti d'oro per gli spettacoli più visti d'Italia, coniugando arte e mercato. E questo è forse la bella morale che resta in sottofondo alla splendida mostra del Ducale, persino per gli spettacoli che io detesto. Con la cultura, se fatta bene, si può mangiare.

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