Gli elettori bocciano quel Pdl che dimentica i problemi reali

(...) del Pdl di smetterla di parlarsi addosso, di occupare le giornate a scrivere Tweet in cui Tizio attacca Caio e Caio gli replica di pensare piuttosto a Sempronio, di coprirsi di ridicolo convocando organismi interni di cui solo i partecipanti conoscono l'esistenza per votare documenti assolutamente inutili ai fini pratici e utili solo per andare sui giornali con il titolo: «Pdl spaccato, è rissa a Genova». O, alternativamente, è rissa a Savona, a Imperia, alla Spezia. Eppure loro, imperterriti, continuano ad andare avanti così, a parlarsi addosso, a fare professioni di fede di scajolismo o di antiscajolismo, senza vedere che fuori c'è il mondo.
In questo quadro, quello che mi ha fatto più piacere è stato che, da ieri mattina alle otto, il telefono ha iniziato a squillare. E, dall'altro capo del filo, c'era tanta gente che voleva farci sapere che anche lei era «nel mondo», vicina ai problemi reali e lontanissima da chi pensa agli organigrammi del Pdl come all'ombelico del mondo: da Gian Luca Fois al signor Boccazzzi, fino a una bellissima telefonata di Zina De Feo, insegnante in pensione, una di quelle signore dei seniores che è sempre in prima fila quando c'è da fare un banchetto al freddo o a raccogliere firme per tutte le cause più giuste, che - quasi con le lacrime agli occhi - mi ha detto: «La ringrazio, perchè lei ha dato voce ai miei ideali».
E, come loro, hanno chiamato tanti altri. E addirittura tre politici, tre di quelli che hanno partecipato sabato al folle coordinamento regionale in cui si è passati alle minacce e alle denunce reciproche. Il che mi ha fatto piacere, perchè l'autocritica è segno di intelligenza. Così ho apprezzato molto la chiamata di Gianni Plinio, vecchio leone che le battaglie sulle cose reali non le ha mai dimenticate; quella di Matteo Rosso, impegnato ieri sull'agibilità dei cimiteri e soprattutto quella di Michele Scandroglio, il coordinatore regionale al centro delle polemiche: «Avete ragione. Stop».
Intanto, però, la politica del Pdl ligure - a Roma - continuava ad avvitarsi su se stessa. Con quattro posizioni differenziate su cinque eletti liguri del Pdl: Giorgio Bornacin fuori dall'aula come la maggior parte del gruppo di Palazzo Madama; Gigi Grillo e Gabriele Boscetto che, in pieno accordo con il resto del gruppo, si sono astenuti; Enrico Musso che, ovviamente, visto che siede nel gruppo Udc in quota liberale, ha votato convintamente la fiducia. E poi, c'è il caso del senatore Franco Orsi, fedelissimo scajoliano, il vero stratega e mente politica delle truppe dell'ex ministro. Prima, Orsi pareva essersi sganciato dal resto delle truppe scajoliane, avendo votato «sì» alla fiducia al governo, come Beppe Pisanu. Poi, però, ha messo per iscritto che si era sbagliato a votare. Il che è un po' surreale, visto che la fiducia prevede che si passi sotto la presidenza e si dica a voce alta come si vota, insomma non un semplice tasto schiacciato male. Ma poi Orsi ha spiegato: «Il mio voto alla fiducia è solo frutto di un equivoco e deriva esclusivamente dal frettoloso accesso in aula per il protrarsi di una riunione con i presidenti pidiellini delle province.

A causa di questo impegno non sono venuto a conoscenza della strategia di voto, stabilita proprio stamattina. Sono assolutamente allineato alle posizioni del gruppo». Così Orsi ha conquistato un posto nella storia della Repubblica: quello del primo parlamentare che ammette di essersi sbagliato a votare sulla fiducia.

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