Laura Sicignano, l'arte di emozionare raccontando la storia

(...) ai livelli altissimi già raggiunti nei due Olivetti di Gabriele Vacis dedicati ad Adriano e Camillo, nel Signore del cane nero su Enrico Mattei e in Malapolvere, il viaggio nella battaglia di Casale Monferrato e la loro Spoon River di Eternit. Insomma, non fosse per le musiche e le luci, appannaggio di Edmondo Romano e Tiziano Scali, saremmo nei dintorni di un harem. E un po' il Cargo, il teatro di Voltri, un harem lo è sul serio, con Laura Sicignano nel ruolo di splendida odalisca delle parole e delle emozioni.
Perchè, ribadisco, con Scintille, come era già capitato con Donne in guerra, lo spettacolo itinerante in scena sul trenino di Casella, siamo nei dintorni del capolavoro. E, per di più, del capolavoro ligure, di una Liguria che, per una volta, «fa sistema». Ligure la prima nazionale a Borgio Verezzi; ligure ovviamente il Cargo; ligure il sostegno della Fondazione Edoardo Garrone, con Duccio e Paolo Corradi che hanno ottimo fiuto nello scegliere i progetti da appoggiare, da questo a quelli di Teatri Possibili Liguria di Sergio Maifredi alla collaborazione storica con il grande teatro doc dell'Archivolto di Pina Rando e Giorgio Gallione; ligure anche la settimana scorsa di rappresentazioni al teatro Duse, nell'ambito della stagione del Teatro Stabile. E anche questa è un'ottima notizia: perchè, così come è successo proprio con gli spettacoli di Gallione di cui ci siamo già occupati e di cui la mostra aperta ieri a Palazzo Ducale da Luca Borzani è la giusta canonizzazione laica, il fatto che lo Stabile di Carlo Repetti ospiti produzioni degli altri teatri genovesi è un modo di uscire dal provincialismo e dalle piccole rivalità che, troppo spesso, ci impediscono di volare più alto.
Insomma, le Scintille sono tante, non solo quelle del titolo dello spettacolo di Laura Sicignano. Soprattutto, sono anche quelle che si sciolgono negli occhi degli spettatori che non possono restare insensibili a un racconto così intenso ed emozionante, a una strage delle innocenti raccontata però senza alcuna retorica. Ma sono anche scintille di indignazione per i diritti violati. E scintille di storia per uno spettacolo che ripercorre i migliori insegnamenti della storiografia delle Annales, della storia fatta delle storie di ciascuno di noi, delle nostre miserie e dei nostri eroismi quotidiani. Della storia siamo noi «questi chicchi di grano», nel canto degregoriano.
Il racconto della morte di due ragazze di quattordici e vent'anni, operaie tessili, da parte della loro mamma, che se le vede sparire davanti agli occhi, è una nuova dimostrazione del Sicignano-touch, la splendida capacità di Laura di lavorare sul passato per emozionare nel presente. La Curino emoziona con le parole. Ma, soprattutto, con gli sguardi, con i toni e con le scelte registiche: le musiche che culminano con un Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andare, toccante e definitivo, sono quasi la continuazione delle canzoni di guerra sul trenino di Casella. Ed è meravigliosa la scena finale, con le camice appese quasi fossero ex voto delle vite bruciate, anch'esse dalla retorica inversamente proporzionale alla capacità di commuovere. Così come la scelta dei telai e delle macchine da cucire frutto di un'approfondita ricerca storica, da eterna studentessa, della regista. Che, persino fisognomicamente, sembra appena uscita da un'esame all'università, sbarazzina e sorridente come sanno esserlo solo le ragazze reduci da un trenta e lode. Con il fascino del talento, oltre che il talento del fascino. È stata candidata per il Pd alle regionali? E chissenefrega, le emozioni in scena non hanno colore.
Un solo consiglio.

Se Laura Sicignano riuscirà a trovare una fabbrica dismessa, magari nella stessa Voltri o lungo il Polcevera o il Bisagno o anche a Levante dove ambientare le prossime repliche, saremo nei dintorni della perfezione.

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