(...) è una specie di buon selvaggio, di eccezione che conferma la regola di una comunità e di un modo di pensare molto vetero. A volte, persino quando ad incarnare questo pensiero sono dei giovani, come i capigruppo del Pd in Regione e Comune Miceli e Farello o il segretario provinciale Giovanni Lunardon. Uno che di politica ne capisce anche abbastanza, ma che ha l'aplomb e la freddezza di quando c'era il Muro. Giovani anagraficamente, come lo stesso Lorenzo Basso, onesto e capace, ma comunque legato a schemi vecchissimi, tanto da citare Berlinguer come suo faro politico. Lui che viene dalla Dc ed è nato poco prima che Berlinguer morisse.
E allora, appunto, non resta che attaccarsi a Burlando, allo stesso Lorenzo Forcieri (da martedì tornato deputato, ne parleremo domani), al tesoriere Giovanni Battista Raggi, dal punto di vista umano anche a Mario Tullo, a un «comunista» doc seppure iscritto all'Italia dei Valori come Nicolò Scialfa, capace di volare alto anche in Regione. Tutta gente, a parte Raggi, che viene da una scuola vecchia o vecchissima, ma che è spesso in grado di interpretare il presente meglio delle giovani leve.
Da questo punto di vista, il voto - ideologico - contro la solidarietà ad Eva richesta dalla capogruppo pidiellina Lilli Lauro al consiglio comunale, contro cui ancora una volta i nostri lettori sono insorti, è qualcosa di gravissimo. Perchè, da un lato non tiene nemmeno conto del fatto che Eva è stato un ottimo e partecipe consigliere comunale. Dall'altro, soprattutto, perchè ha trasformato un caso scientifico in un caso di bassa politica: destra di qua, sinistra di là, Movimento Cinque Stelle in mezzo, Marco Doria astenuto. Ma è possibile degradare una questione simile a un voto meno trasversale di quello sulla Gronda? Non ci siamo.
In tutto questo, però, continua la santificazione di Enrico Berlinguer. Non da parte di Giorgio Gallione che, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, ha dimostrato anche un discreto coraggio nel suo registicamente ottimo Berlinguer-I pensieri lunghi ancora in scena alla Sala Mercato di piazza Modena fino al 21 novembre, interpretato da uno straordinario Eugenio Allegri. Ma da parte della politica che gira attorno al Berlinguer di Gallione.
Perchè il punto sta tutto qui. E continuo a ripeterlo perchè credo sia la migliore metafora del «caso Genova». Il santino di Berlinguer, ormai, in Italia, e forse anche in Europa, e forse anche a Cuba e in Corea del Nord, esiste solo a Genova. Certamente, non esiste fra i candidati a premier del centrosinistra che, lunedì sera, durante il dibattito su Sky e su Cielo, hanno indicato addirittura otto personaggi in cinque. Ma nessuno Berlinguer, nemmeno Nichi Vendola, che pure viene dalla tradizione più vicina al «dolce Enrico» e nemmeno Pierluigi Bersani che guida l'area del partito di diretta emanazione dalla storia del Pci. E invece. Bersani ha citato papa Giovanni. Vendola il cardinale Martini. Matteo Renzi ha messo nel suo cielo (e nel suo Cielo) Nelson Mandela e Lina Ben Mhenni, che poi hanno dovuto spiegare che è la blogger tunisina che combatte per la libertà. Laura Puppato, che doveva fare la donna della situazione, ha citato le donne della situazione: Nilde Iotti e Tina Anselmi. Bruno Tabacci, che doveva fare il post-democristiano della situazione, ha citato i democristiani della situazione: Alcide De Gasperi e Giovanni Marcora.
Ma Berlinguer, no. Nessuno. Tanto che si è scatenato il dibattito. I militanti di Sel di Torino si sono infuriati con Vendola. Massimo Gramellini sulla Stampa ha stigmatizzato l'assenza con dolcezza. Barbara Spinelli su Repubblica l'ha censurata con durezza. Poi si è arrabbiato moltissimo Pasqualino Laurito, estensore della Velina rossa, agenzia di stampa quotidiana ultradalemiana. E, per l'appunto, Massimo D'Alema: «Nel mio Pantheon ci sono Moro e Belinguer e per la storia del Pd nel dibattito questi due mancavano abbastanza vistosamente...».
Ma, se i cinque del dibattito non hanno citato Berlinguer, qui citano solo Berlinguer. Bevendosi un Rosso Antico ormai fuori produzione.
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