(...) il contributo della nautica al Pil è stato dimezzato, il mercato interno è calato dell'85 per cento in due anni, per via di vincoli burocratici e dell'idea che chiunque ha una barca sia un evasore, con vincoli e vincoletti da parte di tutti coloro che erano stati raggiunti dal grido di dolore della nautica. Pensate che l'unico promosso dall'Ucina è Attilio Befera, il direttore dell'agenzia delle entrate, che è stato di parola sul redditometro, mentre il resto è una lunga serie di croci sulle richieste, persino quelle non particolarmente difficili da esaudire, come il registro nazionale delle imbarcazioni e navi da diporto. Ferma la patente nautica, fermo il tavolo per studiare la riforma del regolamento di attuazione del codice della nautica, ferma la regolamentazione delle concessioni demaniali della portualità turistica. Su, su, fino alla conclusione. «In queste condizioni - mastica amaro Albertoni, che però è un combattente e non cede di un millimetro - non ci sono più i presupposti per fare impresa in Italia e sembra impossibile che l'esecutivo e i suoi apparati burocratici vogliano abbandonare al suo declino la nautica italiana, un'industria che ha dato tanto al Paese e che molto ancora potrebbe dare, con pochi accorgimenti normativi». Insomma, è chiaro che la nautica non è l'Ilva. Nel senso che non urla, non strilla, non blocca le strade. Ma, così come gli operai dell'Ilva, bloccati dal sequestro dei coils già lavorati, anche i dipendenti della nautica hanno ragione. E reagiscono nell'unico modo che conoscono: con civiltà, alzando la voce ma solo un po', attaccando il governo, ma con educazione.
Il che, in tempi in cui c'è un impazzimento generale per cui l'insulto politico diventa un valore, è un valore vero.Noi, dal canto nostro, siamo al fianco del Nautico e della nautica. Vita di Genova. Alla loro protesta educata. Non per questo meno giusta, anzi di più.
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