Il saluto a Duccio, eterno bambino

(...) e Genoa, parcheggiati in parallelo in piazza De Ferrari davanti alla sede della Regione, è qualcosa di più che una nota di colore rossoblucerchiato. È probabilmente il fermo immagine su Garrone. Perchè, ieri, non c'era Samp e non c'era Genoa. Non c'erano esonerati e non c'erano subentrati. Ma c'era soltanto il rispetto e, qualche volta, l'amore.
Poi, in chiesa ci sono (quasi) tutti. Ci sono anche quelli che non si sono lasciati benissimo, da Antonio Cassano a Beppe Marotta e Sergio Gasparin. C'è il cardinale Bagnasco che, nell'omelia dice: «Tutto ciò che è stato di buono, di onesto e di generoso, sarà proiettato nell'eternità». C'è la Genova che conta, in qualche caso la Genova che non sempre ha amato Garrone, la Genova politica e la Genova delle istituzioni. Ci sono Massimo Moratti, amico-nemico, e Vittorio Malacalza, amico-amico, e ci sono i compagni dello scopone all'Europa, fra cui Claudio Burlando, ieri più amico che presidente. C'è la sua famiglia-tribù, con tutti i nipoti, la vedova distrutta e i figli: le ragazze e i quattro maschi, Edoardo, Vittorio, Alessandro e Filippo. Tutti, mi piace dirlo, ieri pieni di umanità e dolcezza nell'approccio con chi andava a far loro le condoglianze.
E ci sono i compagni di avventura di sempre, da Franco Ardoino a Mario Garrè, compagno di caccia, a Paolo Corradi, suo braccio destro nella Fondazione Edoardo Garrone, la cui importanza per la città viene ricordata anche dal sindaco Doria. Che - faccio questa proposta a titolo assolutamente personale, non sapendo nemmeno se è fattibile a livello statutario - sarebbe bellissimo se, da domani o da quando è possibile, si chiamasse «Fondazione Edoardo e Riccardo Garrone», da FEG a FERG. Perchè nessuno, più di Duccio, da imprenditore privato e da mecenate, ha fatto tanto di tasca sua per Genova.
Città ingrata e, devo dirlo, in qualche modo ingrata fino all'ultimo: la chiesa era piena; in piazza Matteotti hanno stazionato centinaia e centinaia di tifosi sotto la pioggia. Ma credo che Duccio - che pure non era «san Duccio», aveva anche lui i suoi difetti, difettacci, un carattere forte per usare un eufemismo e in alcune vicende ha fatto errori, ci mancherebbe - meritasse di più, anche in termini di presenze.
Riccardo Garrone, poi, ha richiamato tanta gente umile. Era bellissimo, in chiesa, sentire raccontare storie tipo: «Sa, io avevo un negozio di ferramenta a san Biagio e il presidente veniva...È sempre stato cortesissimo, mi piace ricordare una persona così». E poi, ci sono il fruttivendolo, l'oste e una serie di persone che, certo, non fanno parte dei club dei miliardari di Ducciopoli. Così come non ne fanno parte i ragazzi di Grondona, la sua residenza nel Basso Piemonte, dove Riccardo Garrone aveva scelto di abitare e dove era uno del posto, uno del paese, uno che - come ha ricordato Paolo Giampieri in una bella testimonianza sul Secolo XIX di ieri - «d'estate apriva la piscina a tutti i ragazzi». Un po' come nella fiaba del gigante egoista. Quando diventa buono, però.
E, soprattutto con i bambini, Duccio buono lo era sempre. Con i suoi nipotini, ovviamente. Ricordo il giorno che eravamo insieme a Brema, per la sfortunata ed epica trasferta di Champions League - il punto più alto della sua carriera da presidente e il punto più alto della Sampdoria extra-Mantovani - e, sul pullman che ci portava verso lo stadio, intonarono il coro della Sud: «Un presidente, abbiamo un presidente...». A lui, e non solo a lui, luccicavano gli occhi. Così come raccontano gli stessi giocatori che, quando portavano i bimbi a Bogliasco, se li trovavano poi a spasso per il Mugnaini proprio con il presidente.
E poi, gli altri bimbi. Quelli, spesso stranieri, che venivano aiutati dal progetto Mus-e per l'integrazione scolastica, che Garrone aveva sposato e a cui si dedicava con il cuore. Posso anche rivelare un piccolo retroscena. Nonostante ci sentissimo spesso, solo una volta mi ha chiesto un favore, ed era per dare visibilità alla proposta di aiutare bimbi sfortunati. Perchè, in fondo, Duccio era così. Lui stesso, un bimbo mai cresciuto.

Con i difetti dei bimbi, tipo la monelleria e una certa passione per fare i dispetti. E con i pregi dei bimbi. Tipo saper sognare, anche a occhi aperti. Pensate cosa sarebbe stata Genova con EuroDisney al posto delle acciaierie di Cornigliano. Ci voleva un bimbo, nell'età o nell'anima, per capirlo.

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