Se Genova ora rischia di perdere anche il Salone

(...) di auto da Brignole alla Fiera. Un serpentone che oggi è solo un ricordo sempre più lontano.
Il problema è che tutto questo non è merito dell'attuale normativa sul traffico o di iniziative viabilistiche particolarmente virtuose del Comune. Il problema è che l'assenza di coda è dovuta all'assenza di automobili e l'assenza di automobili è dovuta all'assenza di visitatori.
Per qualcuno, sarà l'occasione per tirare un sospiro di sollievo. Perchè c'è sempre stata una Genova e una parte di Genova che ha visto il Nautico come una noia, come un inutile aggravio di traffico e di perdite di tempo nella prima settimana di ottobre. O, peggio ancora, qualcosa da snobbare, come i commercianti, anche quelli del centro città, che tenevano ostinatamente ed ostentamente chiuso nelle due domeniche del Salone, con la città strapiena di visitatori. O come le istituzioni che vivevano i tornelli della Fiera come un mondo a parte, come fossero delle colonne d'Ercole.
Oggi, si è provato a correre ai ripari. Ad esempio, con le manifestazioni come «Genova in blu» (a volte assurde, come la sfilata di moda al mercato ortofrutticolo di Bolzaneto) o l'apertura serale dei negozi per lo shopping. Ma si rischia di arrivare fuori tempo massimo, di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Ed i buoi sarebbero i visitatori ed i turisti, che buoi non sono, ma che vengono considerati tali da moltissimi. Ad esempio, è successo spesso con la ristorazione all'interno del padiglione fieristico, dove panini improponibili venivano proposti a prezzi da ristorante di lusso, come se il visitatore fosse un pollo da spennare. E, in fondo, anche la decisione di far pagare anche in questi anni di magra il parcheggio nelle strisce blu anche la domenica, non sembra il miglior modo di invogliare i turisti.
Del resto, anche il padiglione fieristico, all'avanguardia negli anni Settanta - padiglione di Jean Nouvel, con tutti i suoi limiti, a parte - sembra pronto per l'archeologia industriale, se non per l'archeologia tout court, perfetto per i ciceroni che potrebbero raccontare: «Qui c'era il palasport in cui l'acustica non faceva sentire i concerti; qui c'era il palazzo degli uffici che avrebbe dovuto ospitare un albergo a cinque stelle lusso, ma era infestato dall'amianto; qui si svolgeva la festa dell'Unità...».
In tutto questo, gli unici eroi - chissà per quanto ancora - sono gli imprenditori del settore, gli uomini dell'Ucina che continuano a credere nella nautica (e nel Nautico) nonostante tutto.

Mario Ciaccia, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonostante sia certamente il membro del governo più attento alla nautica, ha dovuto fare da parafulmine alle giuste proteste di chi si è visto additare come male d'Italia e causa dell'evasione, anche quando si limitava semplicemente a creare valore e ricchezza per il Paese, e il presidente della Confindustria marittima Anton Francesco Albertoni ha indossato i panni del cireneo portando la croce di un momento drammatico per tutti gli associati ad Ucina, culminato con la diserzione degli stand da parte degli espositori, immagine drammatica della crudezza della crisi.
Al fianco del povero Albertoni, in molti si sono flagellati insieme a lui. Alcuni dei flagellanti erano la causa del flagello.

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