Se tornano di moda i cattivi maestri di quel luglio 2001

(...) il pensiero corre inevitabilmente ai giorni drammatici del luglio 2001 e al G8.
Alla nostra città violentata e devastata dai manifestanti. Alla nostra gente prigioniera nelle case. Alla Foce ridotta a una specie di campo di battaglia da film, con un paesaggio quasi lunare, surreale nella sua spettralità, con il tizio con la molotov in mano e il passamontagna in viso come testimonial dello sfregio. Alle vie e alle piazze di Albaro in ostaggio di gente che distruggeva tutto quello che trovava sul suo cammino, con le drammatiche telefonate ai centralini di polizia e carabinieri, come un rosario di richieste d'aiuto di persone perbene sequestrate in casa dai «bravi ragazzi del movimento». Alle violenze, vergognose e giustamente punite anch'esse, di chi ha disonorato la propria divisa, per strada, alla Diaz o a Bolzaneto.
Ma quei giorni riportano anche alla politica quando incontra queste situazioni. Ricordo, ad esempio, Haidi Giuliani eletta senatrice per Rifondazione comunista; a Francesco Caruso deputato per la stessa lista; a Vittorio Agnoletto, eurodeputato sempre di Rifondazione e ora papabile per la Rivoluzione arancione della lista targata Ingroia.
E proprio quelle candidature e quelle elezioni tornano leggendo le parole del segretario nazionale di Rifondazione Paolo Ferrero, del responsabile giustizia del partito Giovanni Russo Spena e di Marco Palermo, segretario provinciale di Teramo, dopo le condanne per gli scontri degli indignados dell'ottobre 20111 a Roma. Condanne per devastazione, saccheggio, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale pluriaggravate. Di quel giorno, ad esempio, resta l'immagine della camionetta dei carabinieri data alle fiamme ed avvolta dal fuoco in piazza San Giovanni, con il rischio che chi era all'interno morisse. Scene che ricordavano drammaticamente quelle di piazza Alimonda, della trave, dell'estintore.
Eppure, c'è chi si indigna più per le pene che per le violenze. Ad esempio i partigiani dell'Anpi di Pescara che, pur condannando i fatti, dicono che «è da considerare abnorme la pesantezza della pena inflitta, soprattutto se rapportata alla mitezza delle pene comminate o ancor di più alla mancata esecuzione delle pene per altre tipologie di reati». Il tutto in un trionfo di richiami all'«Italia Democratica, Costituzionale e Repubblicana» e di attacchi al codice Rocco «eredità del regime fascista».
Ancor di più fanno i tre di Rifondazione - forza che fa parte della maggioranza che governa Comune e Regione - per cui «le condanne a sei anni ai manifestanti del 15 ottobre dimostrano con ogni evidenza come in Italia abbiamo un sistema che prevede pene severissime per il reato di devastazione e saccheggio, un reato politico in quanto eredità del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco, e pene molto più lievi per corruttori ed evasori, che danneggiano certamente più di una manifestazione la democrazia e la collettività».


Ecco - senza entrare nel merito della responsabilità penale dei singoli che è personale e che non sono assolutamente in grado di valutare non avendo letto le carte del processo - io credo che con parole così, con giustificazioni così, con minimizzazioni così, con un rispetto delle sentenze e della magistratura a targhe alterne così, si riapra la ferita di Genova.
Che quella molotov alla Foce esploda in qualche modo ancora oggi. Che quei cittadini di Albaro siano prigionieri nelle loro case ancora oggi. È una ferita che brucia forte.

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