La strana Genova che capisce Duccio solo il giorno dopo

(...) ringraziato per aver salvato la società, mantenendo sempre il rispetto nei suoi confronti, ma senza mai perdonargli fino in fondo prima il fatto di non essere appassionato di calcio fino in fondo e poi la cessione di Cassano e Pazzini.
Oggi, possiamo pure fare finta che sia stato sempre amatissimo da tutti i tifosi. Ma cori, commenti e striscioni visti allo stadio, li abbiamo ascoltati e visti tutti. Così come abbiamo visto scene vergognose, non solo in gradinata, ma anche nel cuore della tribuna, in cui Duccio è stato costretto ad uscire dallo stadio fra gli insulti. Insulti di gente che non sarebbe stata degna di allacciargli le scarpe e che, a differenza di Garrone, della sua famiglia e della famiglia Mondini, non ha mai messo una lira per salvare la squadra. Salvo, magari, chiedere l'abbonamento gratis per lo stadio. Vergogna delle vergogne, alcuni di quegli insulti di alcuni di coloro che oggi lo piangeranno commossi, sono venuti quando Duccio era già malato.
E quello che è successo allo stadio, in fondo, è la metafora di quello che ha detto e pensato di Garrone una parte della città. Ad esempio quella che si mise di traverso alla candidatura di Vittorio Malacalza alla presidenza degli industriali. «Non per Malacalza, per carità - spiegavano seri - ma dietro c'è Garrone».
Ecco, far finta che tutto questo non sia esistito, sarebbe ingiusto, prima di tutto con Duccio. Anche perchè, con la stessa assoluta obiettività, occorre anche riconoscere che tanti di quegli attacchi lui stesso se li cercava, con posizioni sempre molto chiare ed oneste, ma spesso con un pizzico di carta vetrata dialettica, di durezza supplementare gratuita. Talvolta, scientificamente, ai limiti della sgradevolezza.
Proprio così. Quando voleva essere sgradevole nei confronti di qualcuno che se lo meritava, Riccardo Garrone ci riusciva benissimo. Ma anche questo lo faceva con la monelleria tipica dei bambini che si divertono. Ma, come i bambini dopo un litigio, era anche capace di ascoltare le ragioni degli altri e, se qualche volta, nella sua impulsività, gli capitava di aver dato un giudizio ingiustamente duro, era in grado di riconoscerlo e di cercare il punto di incontro anzichè quello di rottura. Caratteristica degna non solo di una persona profondamente onesta tout court, quale era Duccio, ma anche profondamente onesta intellettualmente. Quale era parimenti Duccio.
Su questo punto, posso anche portare la mia testimonianza personale. I nostri rapporti iniziarono in modo abbastanza burrascoso, perchè criticavo la gestione della Sampdoria - in modo a volte un po' eccessivo e magari caustico nei toni, lo riconosco - e quindi non feci nulla per rendermi simpatico a lui. Poi, però, abbiamo iniziato a conoscerci, a rispettarci, a volerci bene. La parola è grossa, troppo grossa, ma in qualche modo siamo diventati amici.
Certo, non al livello dei suoi sodali di sempre, a partire da Paolo Corradi, l'altra metà di Duccio, capace di montare insieme a lui il capolavoro degli ultimi anni, la Fondazione Edoardo Garrone, qualcosa che resterà e che lascerà un segno di ciò che è stato e cosa ha significato per Genova il patron della Erg. O, Franco Ardoino, che sentivi anche quando ne parlava, che davvero era innamorato della sua personalità e del suo cuore, al di là delle giocate a scopone all'Europa.
Ma, comunque, anche da lontano, amici.

Amici veri, capaci di sentirsi - magari raramente, ma sempre come se ci si fosse appena visti il giorno prima - di prima mattina per commentare un articolo, di confidarsi un'idea o un sogno o anche di contrapporsi su due visioni diverse od opposte rispetto a un problema. Ecco perchè, esagerando, dico amici. Gli amici sono così, si dicono tutto. Grazie di tutto, anche di questa amicizia, Duccio. Eterno monello con il vizio delle idee.

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