(...) comprende quello che si dice o si fa di tutto per non farlo comprendere, l'argomento viene derubricato a «roba da addetti ai lavori» e nasce il sospetto che ci sia qualcosa da nascondere. Poi, magari, il sospetto è infondato. Ma, intanto, viene. E, intendiamoci, la colpa non è del funzionario che verga il parere.
La colpa è dei politici che l'hanno avallato «all'unanimità», trasmettendolo come se fossero una buca delle lettere, come se il problema fosse burocratico e non politico. Vedete, l'ufficio di presidenza del Consiglio regionale è composto fra l'altro da cinque persone esperte e anche molto capaci, meritevoli di stima. E, proprio perchè li stimo e di alcuni sono amico personale, mi rifiuto di credere che non abbiano saputo fare di meglio per affrontare il problema posto da noi sull'illegittimità della permanenza del gruppo «Di Pietro-Italia dei Valori» in consiglio regionale della Liguria, dopo che Maruska Piredda è rimasta sola per l'abbandono a tappe degli altri tre consiglieri e non ha più i requisiti richiesti dal regolamento del consiglio regionale.
Mi rifiuto di credere che Rosario Monteleone, finissimo politico dell'Udc; Gino Morgillo, combattivo leone del Pdl, votatissimo dai nostri lettori nel gioco della caccia al parlamentare e secondo solo a Fausto Benvenuto; Michele Boffa, cortesissimo politico del Pd; Francesco Bruzzone, massimo conoscitore dei meandri regionali della Lega e Giacomo Conti, storico esponente di Rifondazione comunista, capace di essere di sinistra doc, senza mandare il cervello all'ammasso, si fermino lì. Sono un bel gruppo di teste. Eppure, in cinque, non hanno saputo far di meglio che inoltrare il parere della vicesegretario generale.
Posso dirlo? Trovo che sia un suicidio. Se la politica abdica alla paginetta di un tecnico - peraltro quasi senza assumersene la responsabilità - è la fine della politica. E se si accetta un gruppo che, a mio parere, è contro il regolamento, senza battere ciglio, si dà spazio all'antipolitica. Ci sono anche costi aggiuntivi per tutti noi cittadini liguri, magari poca roba. Ma, proprio perchè tutti stiamo tirando la cinghia e sono finiti per tutti noi i periodi delle vacche grasse, non si vede perchè il gruppo dipietrista in consiglio regionale debba essere esente dai tagli. Le battaglie contro la Casta non possono valere sempre e solo per gli altri. Politicamente è un suicidio: si giustifica l'esistenza di un gruppo (e relative dotazioni economiche, di personale e di spazi) che non ne avrebbe diritto perchè «tale intepretazione parrebbe essere indirettamente avallata (con una sola «v», non con due, cara vicesegretario e cari cinque cervelloni dell'ufficio di presidenza ndr) dall'assenza, tra le cause di scioglimento dei gruppi consiliari di cui al comma 6 di una regola che leghi esplicitamente lo scioglimento del gruppo alla carenza del requisito soggettivo nel soggetto divenuto, nel corso del tempo, unico appartenente allo stesso». Che, poi, sarebbe Maruska Piredda. Ma non scherziamo. Non si è mai visto che un gruppo non si scioglie perchè non è previsto espressamente il caso del venir meno dei requisiti iniziali. Soprattutto - anche senza richiamare il caso di Giovanni Paladini che, nella legislatura 2000-2005 dovette chiedere aiuto a Giancarlo Mori per farsi un gruppo, dopo che mezza Margherita era andata altrove, che non è un precedente identico - bastava che chiedeste al maestro di regolamenti del consiglio regionale, che è l'ex presidente Mino Ronzitti. Uomo saldamente di sinistra e «comunista», ma bravissimo nell'interpretazione delle regole che modellò lo statuto e il regolamento in analogia a quello che succede nelle altre assemblee legislative, in particolare alla Camera e al Senato. E l'analogia, nel diritto, fa precedente.
Fossi in voi, mi preoccuperei del fatto che il consigliere Matteo Rosso (Pdl) abbia messo in mano tutto agli avvocati per far intervenire la Corte dei Conti. Che, generalmente, non è molto sensibile ai cavilli.
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