La crisi dei mercati finanziari ha spostato le scelte dei risparmiatori verso gli investimenti diretti in titoli considerati sicuri come quelli di Stato e i corporate bond, strumenti di liquidità preferiti ai fondi comuni d’investimento e alle gestioni patrimoniali. Anche se negli ultimi mesi si è assistito a un’inversione di tendenza, le cifre dicono che dalla seconda metà del 2007 alla primavera del 2009 c’è stato un forte spostamento dal risparmio gestito a quello amministrato con un calo di redditività da parte di banche e sgr. Il mondo del risparmio ha puntato a recuperare la fiducia degli investitori abbandonando la strada dei prodotti complessi per quella della trasparenza e semplicità dell’offerta di investimento. E coinvolgendo, senza più deleghe in bianco, il cliente anche nell’asset allocation del risparmio gestito. Una via auspicata anche dalle reti di banker, le prime che durante la crisi avevano perso fiducia nel vendere prodotti sfuggiti di mano alle fabbriche. È quanto è emerso dalla tavola rotonda Risparmio gestito: mercato, prospettive e modelli di advisory, organizzata da Davide Auricchio di Strategia & Finanza in collaborazione con BancaFinanza. All’incontro, moderato da Angela Maria Scullica, direttore di BancaFinanza e del Giornale delle Assicurazioni, e da Achille Perego, caposervizio di economia e finanza di Qn, hanno partecipato Andrea Milesio, responsabile sviluppo area banche di Azimut, Francesco Cosmelli, direttore centrale private banking di Banca Akros, Mario Moschetta. responsabile investimenti di Banca Leonardo, Giovanni Marchetta, banking group manager di Banca Mediolanum, Manuela Maccia, responsabile dell’advisory desk di Bnl-Bnp Paribas private banking, Francesco Fonzi, director asset management di Credit Suisse, Massimo Terreo, global advisory di Unicredit private banking, e Stefano Calvi, head of private banking Italy di Vontobel. Ma vediamo che cosa è emerso dal dibattito.
Domanda. Nell’ultimo anno, caratterizzato dalla crisi dei mercati finanziari, si è assistito a un passaggio dal risparmio gestito a quello amministrato. Quali sono le strategie di banche e gestori per invertire questa tendenza che erode i margini di guadagno e bilanciare le richieste dei clienti utilizzando anche la consulenza?
Calvi. Il passaggio dal gestito all’amministrato ha iniziato a emergere a partire dalla seconda metà del 2007 all’inizio del 2008, quando è cominciata la crisi finanziaria e i mercati si sono, per così dire, «rivoltati» contro le nostre soluzioni di investimento. Fino a giugno del 2007 andava tutto benissimo. Poi ci siamo accorti che alcune offerte, come le gestioni a ritorno assoluto che avevano un contenuto piuttosto complesso da comprendere, non rispecchiavano il profilo rischio-orizzonte temporale del cliente. Insomma: gestioni che per natura dovevano essere conservative del capitale perdevano troppi punti percentuali. Abbiamo capito che l’industria si era spinta troppo avanti nell’elaborare prodotti complessi. Il risultato è che la clientela, di fronte alle perdite sull’investimento, ha cominciato ad allontanarsi da queste soluzioni e a tornare su prodotti più semplici. E cioè quelli di risparmio amministrato, come i titoli di Stato. Questo ha portato a un irrigidimento di molti rapporti con la clientela e, all’atto pratico, a una caduta significativa di revenue.
Terreo. Anche noi abbiamo riscontrato questo fenomeno, ma con due velocità: più accentuato nella fascia bassa della clientela e molto più contenuto in quella alta, che ha mostrato un’ottima tenuta verso il risparmio gestito; contemporaneamente è aumentata l’esigenza di una maggiore trasparenza. Questa necessità deriva dal fatto che una delle principali cause della crisi sui mercati finanziari mondiali era nata sul mercato dei bond (tradizionalmente percepito come meno rischioso) e non sull’equity. Ovviamente, di fronte a esperienze particolarmente negative, è stato più difficile far riavvicinare gli investitori privati al mondo del risparmio gestito e della delega che lo caratterizza. Si è modificata la domanda del cliente, e questo ha portato un cambiamento nell’approccio degli operatori, che si è tradotto proprio in una maggior trasparenza. A oggi i risultati ottenuti ci rendono fiduciosi riguardo al futuro: l’importante è aver rinsaldato il rapporto con il cliente sulla base di nuovi valori.
Cosmelli. Dal nostro punto di vista, per la clientela di fascia alta, diciamo sopra il milione di euro, non c’è stato un travaso dal gestito all’amministrato. Del resto, l’approccio verso il risparmio gestito e quello amministrato si può affrontare in modo abbastanza simile, partendo dall’esigenza di informazione e trasparenza e da una minore complessità dei prodotti. Lo spartiacque è rappresentato dal grado di partecipazione del cliente al processo decisionale. Cioè: che cosa comprare, quando e a che prezzo. Il cliente «da risparmio amministrato», che ha una sua dignità nel tempo, diventa «da risparmio gestito» nel momento in cui decide di dare una delega più o meno ampia all’intermediario. E quando un cliente apre un discorso di delega per la gestione generalmente rimane in quell’ambito: può essere più o meno soddisfatto oppure cambiare banca, ma resta comunque nel gestito. A questo proposito direi che sono tre i fattori da considerare. Prima di tutto il grado di fiducia nel sistema bancario generale. Il nuovo cliente affronta una nuova realtà con una maggiore diffidenza, e all’inizio privilegia il risparmio amministrato. Poi, una volta avviato un rapporto costruttivo, ci si affida integralmente. Viceversa sul fronte dei bond, dei titoli di Stato, c’è una maggiore, chiamiamola così, «taccagneria». C’è chi pensa che investire nel monetario, nel risk free con il fai-da-te non sia così difficile e allora è meglio risparmiare qualche soldino. La terza componente, infine, è rappresentata dal grado di complessità dei portafogli. Investire in azioni, Etf, bond corporate, dove la conoscenza da parte del singolo è molto scarsa, ci dice che il fai-da-te non è la soluzione migliore e il cliente lo sa.
Maccia. Dal 2007 al 2008 si è verificata una grossa disaffezione verso il mondo del gestito. Il 2008 è stato un banco di prova severo per le gestioni patrimoniali, è arrivata la Mifid e ci sono stati grossi cambiamenti all’interno delle gestioni. Ma dal nostro punto di vista non manca un atteggiamento fiducioso. Già dalla primavera del 2009 abbiamo assistito a un’inversione di tendenza con un ritorno di interesse per le gestioni patrimoniali e da parte nostra una raccolta netta positiva. Dalla crisi abbiamo imparato che era necessario proporre nuove linee di gestione, maggiore trasparenza, prodotti più semplici da spiegare e capire. Del resto più nessuno è disposto a firmare deleghe in bianco. La crisi è stata una grande lezione per tutti per offrire nuove soluzioni di investimento. Potrebbe sembrare un’analisi superficiale ma non lo è. Così abbiamo lanciato nuove linee e ristrutturato quelle precedenti. Linee più dinamiche e flessibili con obiettivi di rischio molto controllati, condividendo con i clienti da un lato i rischi sottostanti e dall’altro una maggiore possibilità di coinvolgimento nella scelta gestionale. In passato ci si limitava a scegliere il benchmark e a dire: «lei è un cliente da 50% e 50% tra bond ed equity» o «da 70% e 30%». Il sistema, con la crisi, ha capito che doveva fare un passo ulteriore, personalizzare l’offerta, coinvolgere il cliente nella scelta dei mattoncini sapendo quali sono effettivamente i rischi da prendere. E, se il 2009 è stato l’anno dei corporate bond, capire che bisogna dare ogni volta input per posizionarsi su nuovi temi di investimento man mano che i mercati evolvono, ricercando in queste scelte un maggior dialogo con la rete dei banker, che a sua volta deve poter spiegare al cliente finale che cosa sta facendo il gestore. Insomma: più trasparenza e chiarezza rispetto a che cosa si sceglie e si fa nei portafogli e una maggiore personalizzazione.
D. Come si costruisce un rapporto più stretto tra industria di produzione e rete di vendita?
Maccia. Noi abbiamo puntato su una prossimità molto stretta: per questo organizziamo frequenti conference call dove la produzione spiega come sono composte le linee sottostanti di gestione e la rete sfida i gestori facendo domande scomode. Certo, si tratta di un processo lungo da costruire nel tempo, ma non dobbiamo dimenticarci che i primi «disaffezionati» alle gestioni patrimoniali sono stati i banker. I primi da convincere sono loro, che devono tornare ad avere fiducia per vendere questi prodotti. Per questo è necessaria una forte azione commerciale.
Moschetta. Non c’è dubbio che noi gestori dobbiamo fare un po’ di autocritica. Se è vero che aumentano le masse del risparmio amministrato, è anche vero che l’aspetto consulenziale è diventato sempre più importante anche sul lato del gestito. Il cliente, insomma, non è più disposto a dare la delega in bianco neppure nel gestito. Il perché è molto semplice. In sostanza, negli ultimi due anni il cliente si è accorto di aver subito vere e proprie efferatezze. Non parlo della generalità di chi fa il nostro mestiere, ma in molti casi si sono subite delusioni cocenti. Persino nei prodotti di liquidità, dove la delega in bianco data al gestore non era difficile, dove si chiedevano prodotti semplici, trasparenti, liquidi, il cliente ha scoperto che, dove la delega in bianco sarebbe stata semplicissima da rispettare, in realtà non è stata rispettata. Ricordiamoci che ci sono state case globali dai nomi altisonanti che hanno chiuso i riscatti sui prodotti di liquidità! Per questo, oggi, il cliente non è più disposto a tollerare complessità nei prodotti per cui non capisce cosa ci sia dentro davvero. E, allo stesso modo, l’aspetto consulenziale è diventato molto importante anche nelle gestioni patrimoniali.
Marchetta. Nel 2009 non abbiamo avuto fughe di clienti, neppure nel risparmio gestito. I risultati dei primi nove mesi, del resto, sono molto chiari: abbiamo acquisito clienti e masse. Siamo in raccolta netta fortemente positiva che possiamo stimare sia salita del 122% rispetto al 2008 con 5,8 miliardi. La raccolta è stata forte sia nel risparmio gestito che nei fondi, dove abbiamo raccolto 2 miliardi contro uno del 2008. Crediamo nella relazione di lungo periodo con i clienti, offriamo moltissimi prodotti rateali e i nostri clienti entrano nei mercati progressivamente, mettendo a profitto i momenti di crisi. Per noi la prossimità della rete di vendita alla clientela è un aspetto fondamentale e non soltanto perché non abbiamo filiali sul territorio. La nostra relazione con il cliente passa attraverso i family banker. Il numero dei nostri promotori è rimasto stabile e nell’ultima sessione di esame il 50% dei pf era di Banca Mediolanum. Sono d’accordo sul fatto che un grave errore del sistema è stato quello di cedere alla tentazione di distribuire prodotti incomprensibili, per vendere i quali era necessaria, più che una spiegazione, la consegna di un manuale di istruzioni al cliente. Un sistema non diretto alla trasparenza e alla semplicità ma a complessità e opacità che non ha certo premiato né il settore né il pubblico degli addetti ai lavori e dei clienti.
Milesio. Oggi Azimut dispone di vari canali di distribuzione. Accanto alle tradizionali reti distributive Azimut consulenza e Az investimenti esiste anche un terzo canale distributivo composto da banche di piccole e medie dimensioni tra Popolari, casse di risparmio e Bcc. In tutti i canali abbiamo investito attraverso specifici percorsi formativi e informativi. Sulla loro clientela finale abbiamo cercato di introdurre un linguaggio nuovo, legato a tematiche di educazione finanziaria. Nei confronti dei collocatori bancari abbiamo osservato attentamente la composizione dei loro bilanci e quella dei depositi amministrati dove abbiamo notato che gli attuali strumenti di investimento presenti rendono mediamente dallo 0,2% allo 0,24%. Partendo da questo dato, sono state presentate varie proposte di investimento per far crescere il margine ricavi da servizi presente nelle banche osservate. Questa attività ci ha portato a essere visti non solo come una società distributiva di prodotto, ma come un partner fornitore anche di consulenze mirate.
D. In che modo, dal punto di vista della produzione e della distribuzione, si sta rifocalizzando l’operatività?
Calvi. Siamo tutti convinti che la direzione da percorrere sia quella del ritorno alle gestioni patrimoniali. Quello che è successo da fine 2007 (parlo del private banking, dove opero) deriva da un eccesso nella separazione dei ruoli. Mi spiego. Con il passare degli anni, il ruolo dell’industria si è sempre più allontanato da quello del mercato. Per questo motivo le nostre reti venivano spinte a considerare le soluzioni di investimento come una sorta di commodity. Si sceglieva il mattoncino, lo si offriva al cliente e poi se ne cercava un altro. Questo ha portato a standardizzare molti prodotti, che poi ci si sono «rivoltati» contro. Soluzioni benchmark oriented, con una struttura fissa di asset allocation impermeabile a qualunque situazione di mercato. Strutture a ritorno assoluto con una trasparenza pressoché nulla, costituita da fondi incomprensibili agli stessi addetti ai lavori. Queste offerte erano proposte alla fascia di clientela per noi più interessante, quella compresa tra 500 mila euro a qualche milione di euro. Una fascia alta di clientela che godeva di un’attenzione più mirata, una maggiore personalizzazione, strumenti più trasparenti e più semplici, una gestione meno complessa e più dinamica. E ora stiamo offrendo questo tipo di qualità anche alla clientela che prima godeva di prodotti più standardizzati e meno trasparenti. Il cliente si aspetta una reale dinamicità e attenzione: è qui che risiede il futuro della gestione patrimoniale. Lo sforzo maggiore è proprio quello di ridurre la distanza tra l’industria e il mercato per essere più vicini al cliente.
D. Quanto è importante oggi puntare sulla consulenza e quanto lo si sta facendo?
Cosmelli. Mediamente, i clienti amministrati rendono meno di quelli gestiti. Ogni cliente costa, in termini di tempo, persone, organizzazione: solo se uno ha clienti in amministrato particolarmente grandi riesce ad ammortizzare questi costi. Comunque non abbiamo registrato un fenomeno particolare di spostamento dal gestito all’amministrato. Se mai è successo il contrario: molti che ricorrevano al fai-da-te, di fronte alle difficoltà del mercato e ai guai in cui sono incorsi, hanno perso confidenza rispetto alle scelte individuali. È ovvio, però, che prima di instaurare un rapporto fiduciario con la nuova banca il cliente non dà la delega in bianco, ma tende a sperimentare l’efficienza della struttura con il risparmio amministrato e poi, quando ritiene di potersi fidare, passa in gestione.
Fonzi. In questa fase difficile del mercato, la nostra risposta è stata quella di segmentare l’offerta, riposizionando il concetto stesso di amministrato. Sul versante del gestito, invece, rispondendo ai cambiamenti del mercato con un approccio più flessibile e una maggiore segmentazione di prodotto, cercando anche di coinvolgere il cliente di fascia alta nella definizione del prodotto. Un’operazione, questa, che crea un rapporto più stabile, di tipo istituzionale, non più affidato alla sola persona che rappresenta la banca nella relazione diretta, ma rafforzato da una struttura di appoggio appositamente creata che rappresenta la cinghia di trasmissione tra distribuzione e gestione. Se nella collocazione di questi mandati personalizzati si mantiene un approccio più istituzionale, si crea una fidelizzazione superiore. Perché, in qualche modo, è la banca che va dal cliente, gli propone cioè un certo tipo di gestione che si avvale di più specialisti e non solo su un distributore, un commerciale. La spinta verso un riposizionamento sul gestito non è stata guidata solo da obiettivi di redditività, ma anche dalla scelta di ridurre il rischio, che nell’amministrato è certamente maggiore. Con la struttura del gestito si realizza infatti un miglior rapporto rischio-rendimento nei confronti del cliente. Per questo abbiamo segmentato anche i prodotti di fascia media, offrendo una maggiore flessibilità e assecondando la spinta naturale del mercato verso prodotti più personalizzati e dinamici.
Maccia. Abbiamo proposto un cambiamento del modello di servizio non solo verso la clientela affluent e i grandi patrimoni, ma anche verso lo zoccolo duro della nostra clientela, che è rappresentato dalla fascia media. Per questo abbiamo realizzato un importante mutamento nelle gestioni patrimoniali anche di fascia media e dall’altro cambiato natura al team di advisor e consulenza. Prima questo team era orientato verso la selezione titoli per i clienti dell’azionario e obbligazionario, adesso si chiede all’advisor un ruolo più a 360 gradi. Per questo abbiamo potenziato anche il nostro team in Italia. La consulenza ha un valore aggiunto che i clienti stanno percependo, anche come servizio a pagamento. In questo senso ci ispiriamo a un modello di servizio dell’advisory private banking come quello già realizzato dalla nostra capogruppo Bnp Paribas private banking, un team di ricerca e supporto. In Francia è già un modello di consulenza a pagamento e adesso anche in Italia ci muoviamo in questa direzione. Far percepire al cliente che un servizio di valore aggiunto va remunerato non sarà facilissimo, ma anche la crisi ha insegnato quanto sia importante avere interlocutori credibili, professionali, vicini, capaci di dare risposte concrete alle soluzioni.
Moschetta. Sono convinto che si andrà verso una maggiore trasparenza non solo nell’amministrato, ma anche nel gestito. Questo non significa di per sé che ci saranno solo prodotti semplici, perché ci sarà sempre chi chiede prodotti semplici e chi invece sceglie e capisce quelli complicati. Concordo che nei clienti di fascia alta non ci sia stato uno spostamento verso l’amministrato o un aumento della sfiducia. Le più grandi delusioni le hanno avute coloro che hanno investito nei prodotti più semplici, di liquidità, clienti di fascia bassa che puntavano sulla prudenza e la conservazione del capitale e che, nei casi più eclatanti, non le hanno ottenute. Per il futuro penso che, anche con il canale della consulenza, sia necessario far capire ai clienti che in periodi come questi, dove i prodotti di liquidità non rendono niente, la ricerca di extra rendimenti per chi chiede prudenza e conservazione del capitale porti a inventarsi chissà quali soluzioni cervellotiche e sia alla base dei disastri che si potrebbero verificare in futuro. Nel nostro mondo, del resto, non mancano i creativi...
D. Stanno nascendo sempre di più società di consulenza indipendente. Quanta concorrenza possono fare alle banche e agli operatori tradizionali?
Terreo. Quello della consulenza indipendente è un fenomeno da osservare con attenzione. Il proliferare di queste società conferma che sul mercato esiste questa esigenza e che, al momento, non è stata ancora adeguatamente presidiata dagli operatori tradizionali. Credo però che il tutto vada valutato con la tranquillità del caso. Creare strutture di advisory richiede investimenti notevoli, problemi di formazione, competenze, strumenti, tecnologie. L’analisi di rischio di un portafoglio non si può fare su Excel, né improvvisare. In realtà queste società rispondono alla mancanza di fiducia che si è creata nel rapporto con le aziende di credito, che soprattutto nella parte alta della clientela devono investire molto nella consulenza e nella personalizzazione. Nel nostro caso, a seconda delle caratteristiche dei clienti, delle loro esigenze, delle dimensioni dei loro patrimoni, vengono messi a disposizione differenti team di specialisti di global advisor o financial advisor, mentre per la parte più bassa bisogna immaginare soluzioni sostenibili su ambiti più rilevanti di clientela che caratterizzano grandi banche come la nostra. Vorrei inoltre sottolineare un altro aspetto molto interessante: esistono tra i consulenti indipendenti persone che interpretano il ruolo in modo diverso, non sostituendosi al gestore ma aiutando il cliente nel controllo del rischio e dell’efficienza del portafoglio. In questo ambito vedo uno sviluppo interessante. Anche le banche si stanno attrezzando per offrire soluzioni di questo tipo, ma essere indipendenti offre un appeal differente. Credo che si vada verso una maggiore ricerca di comprensione dell’attività svolta dai vari gestori. L’advisor, indipendente o meno, sarà sempre più una «necessità» del cliente: mi sembra quindi un’attività con ampi margini di crescita futuri.
Marchetta. Come Banca Mediolanum abbiamo investito moltissimo nell’informazione e comunicazione. Abbiamo anche un canale satellitare e diamo alla nostra forza vendita come e quando vogliamo tutte le informazioni necessarie. Nel periodo di maggiore recrudescenza della crisi abbiamo fatto trasmissioni quotidiane dove commentavamo i fatti dal giorno. Ci eravamo resi conto di quanto fosse alto lo sconforto nel pubblico dei risparmiatori e questo non poteva dare tranquillità ai nostri family banker. Così abbiamo cercato di stare vicini alle persone fornendo informazioni che non sempre è facile reperire. Contemporaneamente abbiamo aperto la nostra Mediolanum corporate university, una vera e propria università aziendale e non solo un semplice centro di formazione specializzato. Abbiamo anche investito anche in comunicazione esterna, ritenendo particolarmente importante farsi sentire e vedere dalla clientela oltre che dai promotori. Noi non pratichiamo politiche di prodotto, non consentite tra l’altro dalla Mifid, ma ricerchiamo una corretta profilatura sempre più adeguata alle effettive esigenze del cliente e crediamo molto più nelle performance commerciali che in quelle tecniche. I prodotti devono essere di buon livello, non devono puntare solo a prestazioni di picco ma mantenere nel tempo una buona efficienza e devono essere sostenuti da politiche commerciali che consentano ai clienti di approfittare delle opportunità che il mercato offre. La storia, purtroppo, insegna che non è così perché il risparmiatore medio compra quando c’è da vendere e vende quando c’è da comprare. E alla luce di questa impostazione non crediamo alla consulenza indipendente che secondo noi rappresenta una duplicazione dei costi senza garantire al cliente l’asset e la time allocation più adeguati.
D. Come sta cambiando il rapporto tra casa madre e reti e quanto è importante la formazione della rete distributiva?
Calvi. Ci sono tre modalità per erogare la consulenza in ambito private banking. Una è quella delle sim di consulenza, un po’ aggressive e pronte a cogliere le debolezze da parte delle banche che hanno erogato gestioni patrimoniali non all’altezza della situazione. Un’altra, dalle radici più profonde, è quella del family office, organismo di coordinamento che, in piena trasparenza, identifica le soluzioni più convenienti competitor e indirizza il cliente di fascia più significativa. Infine la terza forma, che eroghiamo anche noi, colma una lacuna del nostro sistema. Negli anni Novanta lavoravo presso i «borsini» delle banche: il cliente ci chiedeva se fosse più conveniente il tasso fisso o quello variabile, piuttosto che quale investimento fosse migliore tra Fiat e Generali. Questo, dopo la Mifid, non è più possibile e va regolamentato. A Zurigo abbiamo una struttura advisor che elabora le soluzioni per tutta la nostra rete; poi queste soluzioni vengono raccolte da team locali, che decodificano le informazioni e le trasformano in soluzioni per la clientela. Offerte in funzione del profilo di rischio.
Milesio. Mi sembra che oggi, da parte della clientela delle banche, non ci sia una grande disponibilità a pagare questo tipo di consulenza. La partita sarà vinta da quelle società e da quegli istituti di credito che saranno in grado di fornire al cliente un servizio di consulenza professionale, dove il post assistenza sarà uno degli ingredienti più apprezzati. Perché oggi, data la volatilità dei mercati e la grande ampiezza di strumenti finanziari presenti, solo chi avrà vicino un professionista qualificato potrà ricavare valore.
D. Ma quanto va remunerata la consulenza?
Terreo. Premetto: non c’è solo la consulenza finanziaria ma, soprattutto nella parte alta della clientela, una pluralità di temi. Dal real estate al business advisory, dall’arte al tax and legal. Quindi la consulenza deve essere riportata nell’ambito di un discorso complessivo per aiutare il cliente a capire che vogliamo proporci come partner per dare una soluzione a tutti i suoi problemi. E questo è possibile, avendo professionalità spiccate che ci consentono oggi di farlo. E più sono specialistiche, più hanno bisogno di avere una remunerazione. Devo dire che sono costi che i clienti capiscono e dove il cliente percepisce il valore aggiunto non ho mai avuto problemi di pricing.
Fonzi. Quando produce valore aggiunto. Mi spiego meglio: vedo spinte molto forti verso un atteggiamento più sano, più serio, più maturo da parte del nostro mondo nel dare risposte a situazioni che sono state caratterizzate, nell’ultimo anno, da una mancanza di fiducia, da una critica sempre più forte verso il risparmio gestito. E proprio la consulenza è stata lo strumento con cui l’industria finanziaria ha cercato di indirizzare il rapporto col cliente su basi più solide, consapevoli, durature. Certo, è difficile oggi fare pagare questo servizio, anche alla luce di una concorrenza talvolta impropria (molte banche «piazzano» il gestito a prezzi troppo bassi perché lo considerano soltanto un passaggio nella relazione col cliente verso servizi più remunerativi), ma è anche vero che i rischi corsi con il «fai-da-te» negli ultimi tre anni hanno ricreato opportunità per un mondo del risparmio professionale capace di proporre soluzioni più semplici, più trasparenti e con un presidio del rischio. Credo, quindi, che sia più facile far capire che certe prestazioni si possono ottenere solo perché dietro c’è una macchina che consente di realizzare servizi integrati, e tutto questo non può essere gratuito o a costi irrilevanti.
Stiamo andando verso un rapporto più maturo tra clientela e mondo finanziario, e questo crea spazi di manovra anche in termini di pricing. Ovvero: farsi pagare per una professionalità sempre maggiore e per prodotti che vanno verso le esigenze del cliente.
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