Gianfranco e Pierferdy, i buonisti che volevano sparare agli scafisti

Tempo fa i leader del Terzo polo invocavano l’uso delle armi contro i barconi Ma oggi, pur di attaccare il governo, si travestono da paladini della solidarietà

Gianfranco e Pierferdy,  
i buonisti che volevano  
sparare agli scafisti

Oggi le loro parole sono uno slalom: una corsa a infilare una dopo l’altra le porte della solidarietà e insieme della legalità. Oggi sono maestri del distinguo. Della sfumatura. Soprattutto, della critica al governo e in particolare alla Lega. Allora, dieci anni fa o poco più, usavano toni ruvidi, non amavano il politically correct, portavano a galla quel che sentiva la pancia dell’Italia profonda. Allora, davanti all’ennesima emergenza migratoria, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini non disdegnavano concetti che anche la Lega frequenta con disagio. Allora - era il 21 settembre ’99 - le agenzie di stampa registrarono nelle stesse ore le dichiarazioni choc dei due leader.

Casini: «Con gli scafisti che scaricano sulle coste italiane centinaia di immigrati clandestini, siamo in guerra. Oggi si deve poter sparare».

E Fini, solo un filo più cauto: «In certe situazioni può essere giusto mettere le forze dell’ordine in condizione di impiegare le armi, come del resto avviene già oggi».

Dodici anni fa, ma sembra un’altra era geologica, Fini e Casini non si preoccupavano di puntare le nostre mitragliatrici contro i barconi. Altro che Bossi e il suo «fora di ball». Altro che la Lega e il suo motto scandito dal ministro Roberto Calderoli: «Chi vuole i clandestini se li prenda e li ospiti a casa sua».

Casini non aveva il minimo dubbio. «Con gli scafisti - ripeteva - non servono le buone maniere, oggi si deve poter sparare». Tanto che l’allora premier Massimo D’Alema, allarmato da questa deriva muscolare, reagì attaccandolo: «Sparare contro chi fugge? È sconcertante. Loro sono i cristiano democratici? Sparare alla gente non mi sembra né cristiano né democratico». Più o meno lo stesso pensiero di Rosa Russo Iervolino, allora all’Interno: «Penso che sia possibile, e più civile, catturare chi fa il mestiere turpe dello scafista senza sparargli addosso».

Oggi Fini e Casini stanno idealmente con D’Alema e la Iervolino. Le armi le hanno buttate in mare, predicano la solidarietà, incolpano di tutto il governo e in prima battuta la Lega. Casini punta il dito ma non indossa più la stella da sceriffo: «Chi si era illuso che con la Lega al governo i clandestini non sarebbero arrivati si sbagliava. Con la demagogia, le chiacchiere e le baggianate come le ronde ci troveremo sempre più clandestini. Ad un esodo biblico si risponde con provvedimenti straordinari».

Quali? «Accogliere i rifugiati e rimandare a casa i clandestini, non ci sono alternative», che poi è quello che più o meno vogliono tutti. I proiettili per i mercanti di morte però non ci sono più.
Ora il leader dell’Udc è armato solo di buoni sentimenti e di fermi propositi. Come Fini. Che fa impeccabilmente sfoggio del suo aplomb istituzionale. «Chi dice che gli stranieri sono diversi - afferma il Presidente della Camera incontrando un gruppo di ragazzi stranieri - è uno stronzo». Senza giri di parole. Comunque, non si sa mai, Fini lo ribadisce: «C’è qualche stronzo che dice qualche parola di troppo? Se qualcuno pensa che siete diversi, qualche parolaccia se la merita. Voi la pensate e io la dico».

Oggi il presidente della Camera è ecumenico, trasversale, terzomondista. Tanto da provocare la reazione di Calderoli: «Fini ha perfettamente ragione a dire che è stronzo chi dice che lo straniero è diverso. Ma è altrettanto stronzo chi illude gli immigrati».
Oggi Fini si è aggiornato, abbeverandosi all’acqua del solidarismo distribuita da vari pensatoi di ultima generazione, qua e là per l’Europa. E scrive: «Bisogna ascoltare le richieste di coloro che bussano alle porte». Affermazione incompatibile con le pallottole per fermare i clandestini. Anche se poi, prudente, frena: «Molte delle restrizioni sono oggettivamente giustificate e giustificabili».

Il pensiero è elastico, ma, come dice il sindaco di Firenze Matteo Renzi, Gianfranco Fini dev’essere il gemello di quell’altro che dieci anni fa, e anche meno, si appoggiava a immagini bellicose. E predicava il contrario di quel che oggi insegna dal suo scranno di Presidente.

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