Gigli contro Gigli la guerra dei cloni sulla passerella

Lo stilista non è più proprietario della griffe: lancia una linea creata per un’altra azienda, ma nello stesso giorno sfila il suo marchio

Gigli contro Gigli la guerra dei cloni sulla passerella

Milano - Come vi sentireste se qualcuno potesse usare il vostro nome per firmare qualcosa di suo? A questa domanda qualunque autore risponderebbe: «Così furioso da chiamare un avvocato». Gli stilisti non possono perché nel mondo della moda i nomi diventano marchi e la firma si trasforma in una merce di scambio che provoca problemi difficilmente valutabili da ambo le parti. Infatti nel prezzo degli abiti firmati c'è un valore aggiunto che i consumatori pagano perché aderiscono al progetto creativo di questo o quel designer. Oggi, però, può capitare di sborsare cifre importanti per un capo di Jil Sander che invece è disegnato dal pur bravissimo Raf Simons. Lo stesso succede a chi cerca l'inconfondibile tratto d'avanguardia di Helmut Lang e si ritrova davanti ai modelli di Nicole e Michael Colovos. Yves Saint-Laurent, invece, è sempre presente sulla scena della moda parigina dove organizza mostre sulla sua incredibile epopea stilistica. Ma il marchio ceduto per quasi un miliardo di euro al Gruppo Gucci nel 1999, oggi ha come direttore artistico Stefano Pilati, ex assistente di Tom Ford che per primo si cimentò con la difficile impresa di sostituire l'insostituibile.

Sono in pochi a poter vantare buoni risultati con simili operazioni. Tra questi c'è il ligure Italo Zucchelli che dal 2003 disegna la linea maschile di Calvin Klein, mentre la donna è stata affidata alle capaci mani di Francisco Costa. A giudicare dalla magnifica collezione uomo per la prossima estate presentata l'altra sera sulle passerelle di Milano, Zucchelli ha raggiunto un equilibrio perfetto tra il suo stile e quello del mitico designer americano.

Tutt'altra storia quella di Romeo Gigli che da tre anni era uscito di scena in modo burrascoso e proprio ieri ha presentato Rebecca Brown, una stupenda collezione donna (120 capi di maglia salvo le camicie di purissima seta) prodotta da Luciano Donatelli, presidente dell'unione industriali di Biella ed ex Ceo della divisioni accessori e sportswear del Gruppo Zegna. «Ci siamo incontrati vent'anni fa quando lui rivoluzionò il mondo della moda - racconta il manager - poi è successo di tutto ma quando sei mesi fa gli ho parlato del mio progetto all'improvviso ho capito che dovevamo ricominciare a lavorare insieme». Da qui l'idea che si è già rivelata vincente perché tutti pensano di conoscere Rebecca Brown e per tutti s'intendono i negozianti più importanti del mondo: 120 al massimo perché la struttura può produrre 100mila capi all'anno, non uno di più, da vendere a minimo 190, massimo 900 euro. Il caso ha voluto che ieri sulle passerelle milanesi sfilasse anche la collezione uomo di Romeo Gigli, disegnata però da Gentucca Bini. Romeo contro Romeo? «Non era mia intenzione» giura quello vero, mentre la deliziosa ragazza che ha preso il suo posto si è arrabattata come meglio poteva con lo stile che le è da sempre caro: il finto povero fatto in sartoria, un guardaroba radical chic perfetto per un film di Emir Kusturiza. «Di Romeo non c'è niente» dicevano gli addetti ai lavori. Però si chiama come lui che invece adesso è Rebecca Brown.

In questo gioco delle parti è caduto anche Alviero Martini che non sa e non vuole sapere chi disegna il suo marchio e possiede quella collezione di antiche carte geografiche da cui lo stilista prese lo spunto per disegnare prima le valige, poi gli abiti per una donna giramondo. «Presto dovrei lanciare una linea chiamata Alviero» annuncia. Tanti auguri a tutti. Specialmente ai consumatori.

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