«Attenti al nuovo Hitler». Se la storia si divertisse a giocare con le date non ci riuscirebbe meglio. L’avvertimento di Gerusalemme riecheggia tra il genetliaco di Adolfo - evocato dagli attacchi a Israele lanciati a Ginevra dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad - e il lugubre anniversario dell’Olocausto celebrato ieri nello Stato ebraico dalle urla delle sirene e dal consueto minuto di rabbrividente paralisi nazionale. Nel ricordo stavolta non c’è però nulla di definitivamente trascorso. Nel giorno della Shoah Ahmadinejad diventa il «nuovo Hitler con la barba che parla persiano» o il grande nemico deciso a «cancellarci dalla carta geografica».
I due pesanti moniti arrivano dal presidente della Knesset Reuven Rivlin e dal vicepremier Silwan Shalom, intervenuto ieri alle celebrazioni al campo di Auschwitz. «Ieri, 73 anni dopo le Olimpiadi di Berlino, abbiamo assistito al ritorno di un nuovo Hitler che parla persiano e porta la barba... rischiamo di assistere a una ripetizione dell’Olocausto per mano di gente come Mahmoud Ahmadinejad», avverte Rivlin in una lettera ai suoi omologhi di tutto il mondo. «L’Iran - insiste da Auschwitz il vice premier Silvan Shalom - le sta tentando tutte per cancellare Israele dalla carta geografica».
Nei timori d’Israele si misura il successo di Mahmoud Ahmadinejad o, almeno, quello tributatogli dai giornali di casa pronti a salutarlo come l’eroe «tornato dopo aver piazzato l’ultima pallottola nelle cervella dell’Occidente». Il ragionamento, nell’ottica dell’ala più dura del regime impersonificata da Ahmadinejad, non fa una grinza. Per trasformarsi nell’eroe del Lemano, capace in un solo fiato di far rabbrividire d’indignazione l’Occidente, di rabbia Israele e d’orgoglio i suoi nemici, Ahmadinejad non s’è neppure dovuto impegnare troppo.
oddisfatto di aver fatto piazza pulita dei delegati occidentali parlando di «governo razzista nella Palestina occupata» il presidente, come testimonia la versione ufficiale del suo discorso diffusa dall’Onu, si è persino concesso il lusso di saltare la frase che definiva l’Olocausto «questione ambigua e dubbia». La rinuncia non gli ha impedito di portare a casa il risultato. Quel discorso spuntato basta alla fine a far risalire le sue quotazioni in vista delle presidenziali di giugno, a far fremere i cuori di quanti nel mondo lo considerano l’unico baluardo anti israeliano e a metter alle corde Barack Obama, che ora si chiede se sia veramente possibile dialogare con Teheran e conservare, allo stesso tempo, la stima e il rispetto dell’alleato israeliano. Tutto ciò mentre il presidente Usa tenta di rilanciare il processo di pace in Medio Oriente e annuncia a fine giornata l’intenzione di invitare a Washington i leader di Israele, Anp ed Egitto per colloqui separati.
L’imbarazzo della Casa Bianca è emerso durante la conferenza stampa di ieri con il re saudita Abdullah in cui Obama liquida come «orrende e discutibili» le parole di Ahmadinejad, ma conferma il progetto di un «dialogo diretto con Teheran in cui tutte le opzioni restano sul tavolo». Una parziale marcia indietro in cui il presidente, indebolito dagli affondi di Ahmadinejad, è costretto ad evocare l’opzione militare.
Sul piano dei consensi interni il trionfo del presidente iraniano, accolto a Teheran al grido di «Morte all’America» resta, però, una liturgia di carta gestita da
una nomenclatura sempre più distaccata dall’opinione pubblica. Ad accogliere l’eroe del Lemano c’erano ieri non più di 200 sostenitori forse trepidanti, ma non certo entusiasmanti per una megalopoli di 15 milioni di anime.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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