Cesare G. Romana
da Reggio Emilia
Certo gioca in casa, Luciano Ligabue, in questo concerto a un quarto dora di taxi da casa sua. Ma mica poi tanto: i fan sono arrivati a frotte da tutta la penisola, si parla veneto, siciliano, toscano, sardo, campano, lombardo, pugliese in questa fornace di entusiasmo che solitamente ospita velivoli e ora accoglie centottantamila persone, un bel riassunto dellItalia tutta. E così vedremo se troverà spazio nella storia della musica, questo show epocale, ma nel Guinness dei primati cè già: ché neppure gli U2, qui al Campovolo di Reggio Emilia, avevano convogliato tanta gente. Come fanno notare, con legittimo orgoglio, gli organizzatori, e lo tsunami dapplausi conferma.
Dunque trova nel gigantismo il suo pregio e un po anche il suo limite, questo show con il quale il Liga, caratterialmente così schivo, torna clamorosamente, dopo anni, su un palco. Anzi su quattro, fatto mai visto al mondo: un palco per cantare rock col suo gruppo, la Banda; laltro per mimare latmosfera vintage del Bar Mario, con una scopa a tracolla, i suoi manager a far da inservienti e i ClanDestino a suonare col coro Monte Cusna; il terzo per un siparietto «datmosfera», col grande Mauro Pagani al bouzouki e al violino; il quarto per proporci tutto solo, chitarra e voce pastosa, Sogni di rocknroll e poi per dedicare alle vittime di New Orleans Sono qui per lamore, che conclude il nuovo album, Nome e cognome, disco dignitoso e riflessivo.
Raramente trionfo fu più prevedibile e più assoluto, come saddice a un concerto che, per biglietti venduti, sbriciola ogni record europeo e lascia per soli quattromila spettatori il primato mondiale a Paul McCartney, Rio de Janeiro 1990. Da trionfo, va da sé, anche la resa spettacolare, pur con i giusti correttivi di garbo e dautoironia. Si parte con unouverture di grilli e tastiere, poi ecco Il giorno dei giorni con relativo video, eppoi Hai un momento Dio?, Vivo morto o ics con immagini di fabbriche e teschi roteanti, Marlon Brando è sempre lui e A che ora è la fine del mondo, elevata a requisitoria contro la guerra, con gli schermi, otto in tutto, a mostrarci bocche umane che sputano proiettili, aerei in volo sfrenato, bombe alate.
Si viaggia così tra le asprezze delloggi e i densi aromi della memoria - Eri bellissima e Happy hour, Balliamo sul mondo e Questa è la mia vita, Libera nos a malo e Certe notti, osannata fino al delirio - esattamente come il ping pong dattualità e di ricordi che percorre Nome e cognome, e che è abbastanza tipico della «scuola» emiliana, Guccini in testa. Donde, ad esempio, una suasiva Ho messo via, con quel corredo dimmagini un po gozzaniano - ingranaggi dorologi, statuine dantan, vecchi dischi e vecchie lettere - ad infoltire dagli schermi il flusso della musica. E lui a galvanizzare la folla con la sua timidezza estroversa, la sincerità disarmante e la pasta calda della voce. È appunto questa dimensione di verità e di sentimento del vivere, a fornire al concerto il suo fascino autentico, ben più della grandeur faraonica e ipertecnologica duna produzione da cinque milioni di euro, che gli organizzatori non si stancano di definire unica al mondo. E che lascia ammirati, non fosse che limportanza dun concerto si lega più alla sua qualità artistica che ai mezzi impiegati per esprimerla.
È insomma al carisma del protagonista, e alla limpida onestà della sua musica che sono andati gli applausi - tre ore di tumultuante crescendo - di questa giornata per molti versi magica.
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