«A l caro amico Guareschi/ sperando che un eventuale quarto/ Don Camillo lo possa compensare/ delle delusioni dei primi tre», firmato: Angelo Rizzoli. Data: 20 ottobre 1955. Questa dedica, che il commendator Rizzoli scrisse di suo pugno sulla copertina dell'opuscolo fotografico dedicato al film Don Camillo e l'onorevole Peppone , pubblicato dall'ufficio stampa della D.E.A.R. Film, basterebbe da sola a far capire, pure al più sprovveduto dei lettori, quali fossero i rapporti fra Giovannino Guareschi e il cinema. La dedica, tra l'altro, suona quanto mai inadeguata perché fu proprio l'eventuale quarto Don Camillo a far andare Giovannino su tutte le furie, sino a dare le dimissioni dal Candido e provocare, indirettamente, la chiusura del settimanale satirico più famoso d'Italia. Ma perché Guareschi cercò, sempre senza successo, di ribellarsi a produttori, sceneggiatori e registi per come venivano tradotti in immagini i suoi racconti di Mondo piccolo ? E, soprattutto, perché Giovannino se la prese tanto con quelli che chiamava, poco amichevolmente, i «cinematografari», visto che i film ebbero un successo straordinario, capace di far ricredere chiunque sulla loro validità, al punto che, ancor oggi, a 60 anni di distanza, fanno ascolti da record ogni anno sulle reti televisive nazionali? Occorre procedere con ordine: sin dal 1951 Guareschi scrisse di proprio pugno - meglio, di proprie dita, visto che usava la macchina per scrivere - le sceneggiature originali dei film, su richiesta dello stesso «Commenda» e le scrisse, non solo scegliendo fra i racconti pubblicati sul Candido o nei volumi della serie «Mondo piccolo», ma addirittura inventando nuove storie, nuove situazioni, in grado di reggere la trama di un lungometraggio, dove i protagonisti dovevano essere, sempre e comunque, il pretone e il grosso sindaco della Bassa. L'intento di Guareschi era quello di far giungere agli spettatori lo stesso, identico messaggio che era giunto a milioni di lettori con i racconti della saga di Peppone e don Camillo, come egli stesso scriveva, spiegandone le motivazioni: «In un mondo carico d'odio, la gente sogna di poter vivere lottando, sì, ma in modo che gli uomini, pur rimanendo avversari fierissimi, non diventino nemici. E, all'ultimo momento, la passione politica sia vinta dal buon senso. E l'ultima parola, in ogni conflitto, sia quella della coscienza». Per coscienza, Giovannino intendeva, naturalmente, la voce del Cristo dell'altar maggiore, quella che egli stesso definiva «la voce della mia coscienza». Tutto ciò, evidentemente, urtava con gli intendimenti di Angelo Rizzoli e dei vari registi che si succedettero alla guida dei film: Julien Duvivier per i primi due, Carmine Gallone per il terzo e il quarto, Luigi Comencini per il quinto, l'ultimo girato Guareschi vivente. Sta di fatto che leggendo, come ha fatto il sottoscritto, le sceneggiature originali, scritte da Giovannino per ognuno dei film di don Camillo, si scopre qualcosa di assolutamente nuovo, cinque film mai visti, da immaginare con gli immancabili Fernandel e Gino Cervi nei panni di don Camillo e di Peppone: cinque storie per la maggior parte del tutto inedite, insomma, un Don Camillo scritto da Giovannino Guareschi e che nessuno ha mai letto. Innanzitutto la scaletta, la successione degli episodi, completamente diversa da quella che abbiamo visto anche in questi giorni in tv: ad esempio, il ritorno al paese di don Camillo nel secondo film, che Giovannino aveva immaginato a seguito dell'alluvione e che, invece, nel lungometraggio sceneggiato da René Barjavel arriva giusto alla fine del film. Poi gli episodi stessi, le scene, alcune escluse da registi e sceneggiatori, alcune addirittura girate e non montate all'interno del film, come quella che pubblichiamo, per gentile concessione di Alberto e Carlotta Guareschi, ovvero la scena della «bomba pasquale», realizzata per il film Don Camillo e l'onorevole Peppone e non inserita da Gallone. A provare il fatto la prima locandina del film (non utilizzata) e la foto di scena di don Camillo che solleva la bomba per lanciarla ai piedi di Peppone & Co. Stessa sorte nel quarto film, Don Camillo monsignore, ma non troppo toccherà alla scena del trattore sovietico, inserita a viva forza da Guareschi ne Il compagno don Camillo dal quale, però, Comencini epurò la vicenda del «compagno padre», cui Giovannino teneva moltissimo. A proposito, poi, del film Don Camillo e l'onorevole Peppone , girato mentre Guareschi era in carcere a Parma, è illuminante quanto scriveva, dalle patrie galere, lo stesso Giovannino ad Alessandro Minardi: «Accordo per il 3° Don Camillo da realizzare su soggetto e sceneggiatura di Giovannino Guareschi sotto il titolo: L'on. Peppone ... alle seguenti condizioni: Soggetto, “sceneggiatura base” e dialoghi dovranno essere opera del sign. Guareschi e solo del sign. Guareschi. La lavorazione del film in parola potrà essere iniziata solo e quando la “sceneggiatura tecnica” definitiva, elaborata dal regista, abbia la approvazione del sign. Guareschi. Il film non potrà essere proiettato al pubblico qualora non abbia l'approvazione del sign. Guareschi. Il titolo del film dovrà essere quello proposto dal sign. Guareschi e precisamente L'onorevole Peppone ... Il comm. Angelo Rizzoli, e non il Regista o altri, è responsabile di ogni violazione del presente accordo». Le cose, come sappiamo, andarono in modo diverso, ma Giovannino, nonostante tutto si limitò, dopo aver assistito alla prima del film a «dire alcune cose sgradevoli al signor Gallone». E questo è soltanto un assaggio di ciò che furono i rapporti di Guareschi con il mondo del cinema: un confronto (per non dire un conflitto) fatto di rinunce, prese di posizione, lettere e telegrammi che, davvero, servirebbero a scrivere una storia nella storia, un romanzo di «cappa e spada» con protagonisti Giovannino Guareschi nei panni del moschettiere D'Artagnan, Angelo Rizzoli in quelli di Richelieu e, volta a volta, Julien Duvivier, Carmine Gallone, Luigi Comencini, René Barjavel e gli altri sceneggiatori nelle vesti delle guardie del cardinale, eterni nemici di D'Artagnan e soci.
Mancano, però, tre personaggi a questo novello romanzo di Dumas: Athos, Portos e Aramis.Sì, perché nessuno, almeno all'interno di tutto il variegato mondo che girava attorno a Cinecittà, prese mai le difese di Guareschi.
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