Milano - Vivere alla grande, a novant’anni suonati. Spendere, spandere, fare affari giusti e sbagliati. Avere una donna più giovane. Volerne un’altra. Comprarsi la Mercedes da settantamila euro. Andare nei night. Passare le sere nei club per scambisti. C’è bisogno di essere rimbambiti? No, dice il giudice preliminare di Milano. Renato Cocchetti non è rimbambito. «Pienamente capace di intendere e di volere».
E visto da vicino, sprofondato nella poltrona vicino al suo amico Francesco, il signor Renato Cocchetti appare, effettivamente, tutt’altro che «rinco». Baffetto bianco alla Clark Gable. Coppola verde. Giaccone di montone. «Non sono un genio. Ma non sono neanche suonato, anche se il prossimo 11 febbraio compio novantun anni. Sono uno normale, tutto qui». Il problema è che il signor Cocchetti, professione imprenditore metalmeccanico, dopo una vita spesa ad accumulare capitale ha iniziato a spenderlo. Troppo, secondo la rispettabile opinione di sua figlia: che vedeva il patrimonio di famiglia liquefarsi un po’ alla volta, in questa seconda o terza giovinezza del babbo, circondato da amici veri e amici falsi, e tutti intenti a proporgli affari, chiedergli soldi e portarlo a spasso nella Milano by night.
Così parte la denuncia per circonvenzione di incapace. Vengono pedinati e intercettati i membri della variopinta compagnia di giro che si accompagna al signor Cocchetti. Ma soprattutto viene interrogato lui. Ed è lui, l’uomo dal baffo bianco, a rivendicare il proprio diritto ad una allegra vecchiaia: con una veemenza di cui si colgono pienamente gli echi nella richiesta di archiviazione del pm Laura Amato. Cocchetti «si presentava come persona assolutamente lucida», scrive il pm: «Lo stesso, stupitosi per l’atto istruttorio e per le domande postigli in ordine alle sue operazioni immobiliari e finanziarie, affermava con fermezza la propria piena autonomia e capacità negli affari. Negava di avere mai subito intimidazioni o pressioni e con stizza rivendicava la propria libertà nella gestione dei soldi accumulati negli anni, senza doversi preoccupare di rendere conto a qualcuno e decidendo di spenderli come meglio credeva, anche per esigenze personali e per divertimento: come nella frequentazione di locali notturni ove spesso veniva condotto anche per consumare attività “extra”. Cocchetti infatti nonostante l’età ci temeva a mostrarsi come persona attiva sotto tutti i punti di vista, solito accompagnarsi con una donna più giovane di lui e con altre eventualmente conosciute occasionalmente in tali frangenti».
Difficile immaginare una rivendicazione più esplicita delle prerogative della terza età. Processo chiuso, dunque. Certo, è comprensibile il malumore degli eredi del signor Cocchetti. Ma lui, sprofondato nella sua poltrona, appare totalmente sereno: con l’aria di chi sa di avere già trascorso una parte rilevante della propria esistenza terrena, e vuole trascorrere al meglio la parte restante. «Ho novantun anni, e so perfettamente che se una donna più giovane mi viene vicino ad affascinarla non sono i miei begli occhi ma i miei quattrini.
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