Il giudice ordina ai bimbi: "Giocate. Ma in silenzio"

Gli inquilini che abitano di fronte al nido nel Pavese denunciano i piccoli: "Fanno troppo chiasso". E la giustizia dà loro ragione: "Decibel superiori ai limiti". Il direttore dell'asilo: "Barzelletta"

Il giudice ordina ai bimbi: 
"Giocate. Ma in silenzio"

Pavia - «Rumori molesti». Come l’antifurto che ti trapana le orecchie in piena notte o la suocera che ti martella i timpani in pieno giorno.

Peccato che - nella storia che stiamo per raccontarvi - i «rumori molesti» siano rappresentati da ciò che (almeno in teoria) dovrebbe trasmettere solo gioia, allegria, buonumore: le voci dei bimbi mentre giocano. Nello specifico ci riferiamo a quei piccoli col grembiulino che ridono, rincorrendosi nel giardino dell’asilo. Una scena festosamente identica in ogni parte del mondo, dall’Africa alla Groenlandia. Insomma, se si dovesse scegliere un’immagine per immortalare la società dei sentimenti globalizzati, quella foto fisserebbe dei bambini che fanno il girotondo e cantano canzoncine attorno alla maestra.

C’è però un angolo del pianeta dove gli inquilini di un palazzo, confinante con il cortile di un asilo, sostengono che i bambini giocherelloni provocano «intollerabili schiamazzi». Quell’esercito di baby-birba va zittito a ogni costo, hanno urlato i dirimpettai del nido «Gavina» in via Montebello a Stradella, in provincia di Pavia. «Esasperati» dall’«incredibile baccano» proveniente dalla zona adiacente gli scivoli e le altalene, i signori del condominio hanno denunciato l’asilo, chiedendo a gran voce di abbassare i decibel della contentezza infantile.

Il giudice li avrà subito mandati a quel paese, penserete voi. E invece no. Gli ha dato ragione. Così, da oggi, le maestre del «Gavina» saranno costrette a far giocare in giardino non più di due classi alla volta. Il motivo? Evitare che i vicini vengano disturbati dalla «intemperanze vocali» emesse dalle boccucce dei frugoli. Sembra una barzelletta, ma è tutto vero.

La vicenda comincia qualche mese fa, con la stampa locale che registra in una breve di cronaca l’inizio di un «singolare contenzioso» tra i condomini di un palazzo e i responsabili dell’asilo «fracassone». Il «Gavina» non è un «nido» qualsiasi, ma una vera istituzione a Stradella: è infatti il più vecchio del paese avendo aperto 135 anni fa come orfanotrofio e attualmente ospita bambini dai 3 mesi ai 5 anni. La questione, in breve tempo, divide l’opinione pubblica: «I bambini hanno diritto di giocare liberamente...»; «Sì, ma senza rompere le scatole al prossimo...».

In mezzo ai contendenti, il giudice di pace chiamato a decidere sulla «chiusura dell’asilo» (addirittura!) o sull’«installazione di pannelli fonoassorbenti» (come se nel cortile dell’asilo, invece di un Nutella party, dovesse svolgersi un rave party...). Come direbbe Arrigo Sacchi: «Il caso è ostico, ma anche agnostico». Così, come in ogni processo che si rispetti, scatta la perizia. Un tecnico, incaricato dalla magistratura, piomba nel giardinetto dell’asilo e, armato di microfono e registratore, comincia a rilevare il livello acustico della protesta tra quel diavoletto di Mirco e quella peste di Francesco: «Il pallone è mio. Ridammelooooo!!!!»; «No, è mio. Vatteneeeee!!!!». Totale decibel raggiunto: qualcuno in più del normale. Il rapporto «audiometrico» finisce subito sul tavolo del giudice che, mettendo le mani a imbuto ai lati della bocca, comunica al direttore dell’asilo: «I tuoi bambini fanno troppo casinoooo!!!!». Pronta la replica, possibilmente a voce bassa: «Non abbiamo fondi disponibili per i pannelli fonoassorbenti - spiega il responsabile dell’asilo -. Abbiamo optato per la turnazione in cortile invitando i bambini a giocare in “silenzio”. Però, senza voler entrare nel merito della decisione del giudice, una cosa vorrei dirla...». Prego. «Questo asilo è qui da quasi un secolo e mezzo.

I signori che hanno preso la casa di fronte a noi, sapevano benissimo di trovarsi dinanzi a un nido d’infanzia con tutto ciò che comporta. Se sono allergici alle voci dei bambini, potevano andare ad abitare altrove...».

Magari in un convento. Senza campane, mi raccomando.

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