«Hic manebimus optime».Tremonti cita Tito Livio
per dire che resterà qui a combattere, senza scappare, lasciandosi alle
spalle le voci di resa, i pettegolezzi, le dimissioni, la bufera. Non
molla. E butta in faccia agli speculatori una manovra ancora più dura.
La scommessa del superministro è far approdare l’Italia in un porto
sicuro. Tutto questo rischia di naufragare per l’azione di una
procura, che con l’ennesima inchiesta apparentemente senza prove,
fatta di sussurri e grida, sta mettendo a rischio il portafoglio italiano. Questa procura ha due nomi e un cognome: Henry John Woodcock.
Sulla strada di Tremonti, e sul suo lavoro per
tutelare l’Italia dagli squali, è apparsa un’onda anomala. Magari
casuale. Magari non voluta. Ma sta lì e cresce insieme al suo carico di
dubbi. È il fattore W.
E se tutta questa tempesta giudiziaria che ruota intorno a Tremonti fosse solo l’ultimo buco nell’acqua del pm Woodcock? Il dubbio maggiore è proprio qui. Alimentato dal capo della procura di Napoli, Lepore, che ieri s’è affrettato a dire che il ministro non è indagato.
Eppure i magistrati napoletani hanno lasciato che per giorni
si speculasse, che per giorni si rincorressero le voci. Viene da
chiedersi perché, allora. Forse non è neanche dolo, ma sfiga. A
pensarci bene sarebbe la più masochistica delle beffe italiche. Nessuna
accusa di disfattismo: il buon magistrato non aveva sicuramente come
obiettivo lo scossone finanziario. Solo che se si dà uno sguardo al suo
curriculum un po’di sfiducia c’è.Ormai ci siamo abituatiai processi
celebrati sui giornali, ogni carta, ogni telefonata, ogni parola,
nelle mani delle procure diventa pubblica piazza. È un vizio che già
crea seri problemi di filosofia del diritto, morali: è giusto
sputtanare senza processo chi si trova sotto indagine? La giustizia
italiana non riesce, purtroppo, a essere al di sopra di ogni sospetto.
Capitano strane coincidenze. Saverio Romano quando non faceva il
ministro dell’Agricoltura era a un passo dall’archiviazione. Gli stessi
pm di Palermo erano favorevoli. Poi, dopo avere salvato il governo, la
sua situazione si aggrava. Il gip rigetta l’archiviazione. Viene
rinviato a giudizio con l’accusa di concorso in associazione mafiosa.
Troppo vicino a Berlusconi. Casualità, ma che si ripetono.
Il guaio è che il marchio d’infamia viene scolpito
prima di qualsiasi processo. Di solito ci rimette solo chi si ritrova
sulla gogna. Questa volta, nel caso che sfiora Tremonti, c’è però in
ballo la fortuna dell’Italia. È il salto di qualità. Il fattore W.
rischia di tradursi in bancarotta. Malfidàti? Forse. Ma qualche ragione
c’è. Le grandi inchieste di Woodcock hanno sempre un finale sgonfio,
come quei gialli che promettono bene ma all’ultima pagina ti lasciano
con l’amaro in bocca: tutto qui?
Ecco come W. è diventato un’onda anomala.
L’assalto degli speculatori al sistema Italia non parte dall’inchiesta
su Milanese, però la fuga di notizie danni ne ha fatti. Tremonti finora
era stato l’anticorpo contro il virus che ha steso la Grecia,
debilitato la Spagna e spaventato mezza Europa. È un virus che si nutre
di instabilità, paura e conti pubblici fuori misura. In Italia le
condizioni per il suo assalto ci sono. L’anticorpo era riuscito a
rendere inefficaci i tentativi di far sviluppare la malattia. Il
fattore W., con la sua inchiesta pubblica, ha reso più fragile e solo
Tremonti. Ha fatto pensare agli speculatori che fosse arrivato il
momento di attaccare il sistema, di concentrare sull’Italia le loro
attenzioni, di assaporare una preda grossa.
Il dottor Woodcock in fondo non si è mai trovato a proprio agio con le piccole storie. Non si è mai sentito semplicemente un pm, piuttosto un moralizzatore di costumi, soprattutto quando interrogava re, vip e veline. Per poi vedersi archiviare tutto. Questa volta il gioco rischia di andare al di là delle sue stesse intenzioni. Non è solo spettacolo, qui si scommette sul futuro dell’Italia. E chissà se in mano il dottor W. ha davvero le carte o è pronto a calare il suo ultimo bluff. Andremo a vedere. Ma quanto ci costa?
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