Mariella Passerini
Quindici casi di cecità su cento sono provocati dal glaucoma, una malattia subdola che progredisce in modo silente. Ne è affetto il 2% degli ultraquarantenni ma il rischio di ammalarsi si accentua man mano che aumenta l'età. Spiega il professor Stefano Miglior, direttore della clinica oculistica del Policlinico di Monza, ordinario di oftalmologia all'università Milano Bicocca ( stefano.miglior@unimib.it.; tel.039-2810614): «Il glaucoma è una malattia degenerativa del nervo ottico in grado di provocare un progressivo restringimento del campo visivo che può evolvere fino alla cecità. La causa è l'elevata pressione intraoculare. Ma non è l'unica, visto che il glaucoma può svilupparsi anche in individui con pressione normale. La pressione intraoculare elevata innesca un processo degenerativo multifasico che finisce per autoalimentarsi coinvolgendo, nel tempo, tutte le cellule nervose che compongono il nervo ottico. Un'altra causa potrebbe essere la scarsa ossigenazione delle cellule retiniche, dovuta alla ridotta affluenza di sangue al tessuto». Come ci si accorge di avere il glaucoma? «Molto spesso, in modo del tutto casuale. La maggior parte degli ammalati non si rende conto di avere una pressione intraoculare elevata e che il campo visivo si sta restringendo. Superati i quarant'anni, faremmo bene a recarci dall'oculista per una visita che escluda la presenza dei segni della malattia. Gli esami clinici sono: la misurazione della pressione intraoculare; la valutazione del campo visivo; la valutazione del fondo oculare e del nervo ottico. Questi controlli consentono di individuare le persone con la patologia già in atto e di sottoporle subito a terapia. Oppure di identificare i pazienti più a rischio, con elevata pressione intraoculare o con familiari glaucomatosi, per porli sotto osservazione ai fini di una diagnosi precoce della malattia». Come si cura il glaucoma? Conclude il professor Miglior: «Il primo intervento è la somministrazione di farmaci in collirio per abbassare la pressione intraoculare. La terapia antipertensiva (anche quella chirurgica) è indispensabile per disattivare l'eventuale danno meccanico al nervo ottico imputabile all'ipertono ma, in una discreta percentuale di casi, essa potrebbe non essere sufficiente a frenare il processo degenerativo neuronale e quindi ad arrestare la progressione della malattia. Ciò ha determinato l'esigenza di strumenti terapeutici «neuroprotettivi» che agiscano direttamente sul distretto nervoso oculare colpito dalla malattia. A supporto del trattamento ipotonizzante, si potrebbe impiegare una molecola dimostratasi efficace in modelli sperimentali di malattie degenerative come il Parkinson e l'Alzheimer.
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