DOPO IL GOSSIP RESTA SOLO LA SPAZZATURA

Ce la ricorderemo come la campagna dell’immondizia, un mese di comizi preelettorali scarsi di argomenti politici, ricchi di miasmi. Anzi, ce la ricorderemo come la campagna elettorale che la sparsa opposizione italiana cominciò invocando a scandalo una montagna di immondizia mediatica, e finì attaccandosi disperatamente all’immondizia vera, frutto di uno sciopero a Palermo (la raccolta è ripartita ieri notte, Bertolaso ha detto che in una settimana si risolve il problema), ancora invocato a ultimo brandello di presunto scandalo nazionale. Non sarà un bel ricordo e, a urne chiuse, chi ha messo in piedi e in atto la strategia, principalmente un Partito Democratico allo sbando, guidato da un leader appena scelto e già consunto, ne sopporterà le conseguenze, perché il voto non è solo quello che appare sbiadito, invece che pressante come in realtà è, dell’Europa, ma pure quello che stringe alla gola di tante amministrative, e in tante zone cosiddette rosse fino a oggi.
La caccia a «papi» è andata male, tanto vale dirlo con sincerità, a costo di essere brutali, al gruppo editoriale Espresso-Repubblica, all’Unità, a qualche Procura agitata, a Dario Franceschini. Dal segretario del Pd si sono dissociati tanto il mefistofelico di lungo corso Massimo D’Alema che il conducator del moralismo giustizialista, Antonio Di Pietro. Non con successo visibile, il primo ridotto a un «Non siamo noi a parlare di Noemi, è Berlusconi che lo ha fatto a Porta a Porta», che ci vuole proprio il pelo che l’uomo ha non solo a onor del labbro; il secondo concentrato su un libro bianco contro il governo che ha presentato tra sbadigli e scarso pubblico. Ma lui no, il Dario Franceschini che Dagospia chiama micidialmente Sudario, lui insiste, e dall’immondizia dei pettegolezzi privati si è gettato famelico su quella fuori dai cassonetti di Palermo. Sempre con la stessa fissazione ossessiva e dolorosa: Silvio Berlusconi è il padre di tutti i vizi e di tutti i mali del Paese, gli italiani che addirittura al settantatré per cento lo approvano, sono dei dementi, dei malati da guarire.
Gli è andata male con Noemi, con Gino l’ex fidanzato, con le fotografie scandalose, con i giornalisti sguinzagliati a caccia di ragazze pon pon da pagare in cambio di particolari piccanti; gli è andata male con la moglie umiliata e con i figli male allevati; gli è andata male anche col caso Mills, ritirato fuori con sentenza tirata per i capelli. Soprattutto gli è andata male per l’indifferenza e il fastidio generali che sono riusciti a ingenerare tra i cittadini, i quali hanno capito fin troppo bene che il gossip e l’indice sollevato coprivano e coprono pochezza di argomenti seri. Alla fine, a quattro giorni dal voto, non gli è rimasta che l’immondizia vera.
Non c’è nel metodo infelice scelto per questa campagna solo la disperazione dell’attuale crisi di uomini e di programmi, l’ho già scritto e lo confermo che c’è sicuramente tutta l’eredità storica di una formazione politica composita che un tempo fu anche grande forza, ma che anche allora prediligeva, in questo profondamente unita, il metodo leninista dell’attacco personale e della distruzione della persona invece della battaglia politica a viso aperto, della definizione di un’agenda alternativa credibile di governo. La storia della seconda Repubblica cominciò così, un golpe giudiziario mediatico che prese il posto della vittoria delle urne, e quando ai vecchi avversari, agli statisti illuminati che furono eliminati, distrutti dalla vergogna di Tangentopoli, si sostituì provvidenzialmente l’iniziativa politica di Silvio Berlusconi e la gloriosa macchina da guerra della sinistra di Achille Occhetto e della procura di Milano fu sconfitta, allora cominciò l’attacco personale costante, continuo, sordo.
Oggi però l’elenco delle polemiche pretestuose e dei falsi scandali ha preso interamente il posto dell’azione politica dell’opposizione italiana.
Il livore si è concentrato sulle vicende private e personali della vita del premier: la separazione dalla moglie, della quale oggi si può serenamente affermare che dei due componenti della coppia uno, lui, ha fatto la scelta più discreta e appropriata di riservatezza, l’altro, lei, leggendo giornali e giornali, avrà probabilmente compreso di essere stata malconsigliata; la partecipazione a una festa di compleanno, altro non è stato dimostrato, di una ragazza, Noemi, che è stata massacrata, un mostro sbattuto in prima pagina e chi se ne frega dell’onore perduto; le vacanze in Sardegna, raccontate come Sodoma e Gomorra, luogo di festini e orge scatenate, di ragazze minori e discinte, ricoperte d’oro, in lussuoso mercimonio.
Alla fine, di tanto sforzo, energia e quattrini spesi, non è rimasto niente che non sia una crisi matrimoniale purtroppo comune e frequente, un metodo di governo e di rapporto con gli italiani che si nutre anche di bagno di popolo, qualche ciondolo d’argento e cravatte di Marinella. Non gli è rimasto niente in mano, se non la tragedia di un partito irrisolto, che non sa nemmeno in quale gruppo europeo mandare a sedere i propri futuri eletti; che teme come la peste l’ex incongruo alleato, Antonio Di Pietro; che a forza di accontentarsi di esistere «contro», contro Silvio Berlusconi, non ha più trovato la propria identità per questo secolo.
Alla fine immondizia era e immondizia è. A Palermo non c’è certamente la situazione della Campania, ma l’emergenza si avvicina dopo otto giorni di sciopero dei dipendenti dell’Amia, l’azienda per la raccolta dei rifiuti. A Dario Franceschini non è parso vero, dopo le figuracce collezionate su Veronica e i figli, su Noemi e Gino, e con l’ansia dell’ultima ora si è buttato a raccogliere firme sullo scandalo. Contro chi? Berlusconi, naturalmente. Peccato che al sindaco Diego Cammarata e alla giunta di centro destra l’opposizione abbia impedito di stanziare la cifra necessaria per affrontare il buco economico dell’azienda con la presentazione di milleduecento emendamenti, insomma col più bieco ostruzionismo; peccato che quella del buco sia una bella eredità lasciata dalle giunte storiche di Leoluca Orlando.

Peccato, infine, che il sottosegretario Guido Bertolaso sia già in Sicilia, terra dove far politica, credetemi, è arduo compito, e risolverà, vedrete che risolverà, come in Campania, come a Napoli, come in Abruzzo. E adesso, pover’uomo?

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