Il gotico di Giambono risplende di luce propria

Lo sguardo dell'artista veneziano non è rivolto al divino, ma al meraviglioso creato dall'uomo

Il gotico di Giambono risplende di luce propria

Tra le più raffinate e rarefatte immagini della Madonna con il bambino si impongono a Venezia le sontuose interpretazioni di Michele Giambono che sente più forti la decorazione e lo spazio del soggetto stesso.

Vediamo la storia documentata del pittore. Giambono nasce nel 1400, figlio di Taddeo di Giovanni. Il soprannome Giambono deriva dal nonno paterno Giovanni Bono o Giovannino «Zambon». Giambono compare per la prima volta in un documento del 1420 che si riferisce a sua moglie Lena: «Uxor ser Michaelis Zamboni pictor de confinio Sancti Angeli». Due anni dopo abita a San Gregorio, quando entra a far parte della scuola di San Giovanni Evangelista; il 28 dicembre del 1440 abita a Sant'Apollinare. Nel settembre 1443 è nominato arbitro, accanto a un pittore Francesco (forse F. dei Franceschi), in una controversia tra il pittore Niccolò di Domenico e gli intagliatori Matteo e Francesco Moranzone. L'anno dopo risulta abitante a San Geminiano; è di nuovo a San Gregorio nel 1446 e ancora nell'anno successivo, quando gli viene commissionata la pala con il Paradiso per la chiesa di Sant'Agnese (Venezia, Accademia). Nel 1449 il pittore si trasferisce a San Marco, impegnato nei mosaici della cappella dei Mascoli, mentre a lavoro finito ritorna a San Gregorio, come si legge in un documento del 1451. Non abbiamo poi altre sue notizie fino al 1459, quando si sposa la figlia Caterina; il 20 aprile 1462 Giambono compare come teste, ed è questa l'ultima notizia che abbiamo di lui.

I suoi maestri di ricercata - e talora inarrivabile - eleganza sono Jacobello del Fiore, Gentile da Fabriano e Pisanello, titolari delle forme più alte, nel Veneto, del Gotico fiorito. Del primo, Giambono è allievo, così radicale da farlo percepire sobrio, al confronto, nella articolata struttura narrativa che Jacobello esibisce nelle storie di Santa Lucia a Fermo. Giambono guarda Jacobello, così gustoso e fervente, e lo rende prezioso, lo arricchisce, per una necessità di horror vacui, quasi indifferente al soggetto e alla verità degli affetti. Non ha bisogno di raccontare. Gli basta misurarsi con il tema per eccellenza: la Madonna con il bambino (si osservi quella ora al museo Correr), senza distrazioni, e senza soggezione. La seduzione più forte gli viene da Gentile da Fabriano, così come si mostra nella Madonna dell'Umiltà del Museo di San Matteo a Pisa. Lì Michele sente la potenza della decorazione. Il drappo sul fondo, come un arazzo appeso, il pavimento di ceramica, gli orli delle vesti, dei tappeti, tutto fa sentire avvolti in una sconfinata meraviglia. Per Giambono è una sfida. Ogni Madonna è una nuova prova, da quella del Museo Nazionale di Budapest che riprende il comparto centrale del giovanile polittico di Fano, alle diverse versioni della Madonna con il bambino, o con l'uccellino, in quel convenzionale atteggiamento affettuoso proprio del mondo gotico internazionale. Ancora la Madonna Hertz di Palazzo Venezia a Roma (firmata «Michael Iohannis Bono Venetus Pinxit»), del Museo Civico di Verona, della Walters Art Gallery di Baltimora, del Museo di Bassano, della Ca' d'Oro e del Museo Correr a Venezia, dell'Accademia Iugoslava di Zagabria.

Tante varianti, una sola indifferenza. Il suo sguardo è altrove. Non al divino, ma al meraviglioso creato dall'uomo, alla sua capacità di e di stupire. Giambono non resiste, concorre, si mette in gara. Il suo pensiero è alla magnificenza delle cose umane, alla creazione delle sete veneziane, come l'abitino verde del Bambino, nel lusso dell'interno dove immagina, parte del tesoro, la coppia divina, per quanto ci è dato vederne. A Giambono non interessa raccontare, niente è più lontano da lui della lezione giottesca, meditata nella sua sintesi fino a respingerla. Gli interessa il mistero del divino inteso come pienezza e intensità, perfino densità, della meraviglia.

Così mette a contrasto la rotonda morbidezza della Madonna e del bambino, come stupiti di essere lì e anche un po' sospettosi, lei con lo sguardo in tralice, lui come stralunato, stretti in un intreccio di dita e mani, in nevrotica tensione, a danno del cardellino già pronto per essere impagliato. Ciò che conta è all'intorno: il damasco rosso e dorato, forse cuoio di Cordova, bello lucidato, a margine pieno, per fare intendere in quali luoghi, più ricchi che sacri, la divina coppia si muove. La regina, con la sua corona in pastiglia, sta a corte, non si deve nascondere, ostenta più che mai; è, in quanto immersa in un lusso impenetrabile. Si fatica a guardarli, tanto lontani sono dalla condizione originale di madre e di figlio, nel privilegio della loro maestà proclamata. Giambono è così: pittore di corte.

Nell'Incoronazione della Vergine alle Gallerie dell'Accademia, come nel San Giovanni Crisógono nella chiesa di San Trovaso, un cavaliere spinto dal vento che lo porta da Aquileia a Venezia, per raggiungere in sogno il grande cavaliere di Donatello alla Basilica del Santo che era in attesa del suo giudizio. Una folgorazione, e il confronto fra due visioni. Giambono fu chiamato a far parte (1453, 29 giugno, 3 luglio e 21 ottobre) di un collegio peritale nominato dal figlio del Gattamelata, Giovannantonio, per la valutazione del monumento di Donatello a Padova. Due mondi così lontani. In Donatello potenza, forza, storia. In Giambono teatro, eleganza, ornamento. Realtà e sogno. Uno incede nel mondo; l'altro guida il corteo della cerimonia per l'ingresso nella chiesa di San Trovaso, in una solenne processione. Sono cifre diverse. Giambono, cosi vicino alle cose terrene, è lontano, incomunicante. L'aveva scritto con compiacimento Giuseppe Fiocco, tenendo ben lontano Donatello: «e Pisanello che domina, dando alle opere del Giambono una mollezza assonnata anche maggiore di quella del maestro e aggiungendo uno sfarzo di stoffe e di ori che si addicono a un veneziano, erede dell'Oriente, e a un pittore, che al dire del Ridolfi, iniziò il Crivelli».

Il Pisanello del San Giorgio, cavaliere in un sogno come San Giovanni Crisostomo. E non c'è dubbio che la sua strada e le sue Madonne conducono a Crivelli che, se possibile, ne intensifica e ne cristallizza il gusto per la decorazione.

Ma ancor più stupisce che, sotto questo sfarzo, così dominante, così diffuso, Giambono nasconda una vibrazione umana, quasi segreta, che fu certamente avvertita da Giovanni Bellini: la morbidezza delle carni della Madonna e del Bambino, la tenerezza delle gote, l'epidermide rosata, come non era mai stato prima. L'evidenza di una umanità, vera e nascosta, che risponde al dominio dell'aristocratica esibizione di merci veneziane. Un brivido di umana verità.

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