Il governo punta 300 milioni sui giovani

Varato "Diritto al futuro", un maxi piano per sostenere gli universitari e chi muove i primi passi nel mondo del lavoro. Dai prestiti d’onore alle agevolazioni bancarie e fiscali per baby imprenditori. Il premier: "Altri parlano, noi facciamo"

Come si vive senza futuro? Questa è la domanda che ogni politico dovrebbe farsi. Non serve metterla nel nome di un partito o di qualche fondazione rosso Ferrari. Purtroppo la questione è maledettamente seria e non si risolve con uno slogan. Ieri c’è stato un incrocio sulla questione giovani. Montezemolo con ItaliaFutura ha parlato di più credito e zero fisco per le imprese messe su da chi ha meno di 34 anni, borse di studio e riforme strutturali. Il governo, con Berlusconi e Giorgia Meloni, ha messo sul banco 300 milioni di euro per dare un orizzonte a chi vive senza sapere cosa fare domani.
Incrocio strano. Tanto che Berlusconi lo ha sottolineato: «Sento altri parlare, mentre gli altri parlano, noi facciamo». Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, ha chiamato il pacchetto di misure: diritto al futuro. Eccolo. I giovani (under 35) che lo faranno pagheranno un’imposta unica del dieci per cento per tre anni. Diecimila posti di lavoro a tempo indeterminato per giovani genitori con contratti atipici. Accordi con le banche per concedere mutui ai giovani precari. Il prestito d’onore per gli studenti universitari. La restituzione dei finanziamenti inizia 30 mesi dopo l’erogazione dell’ultima rata del finanziamento e sarà effettuata in un periodo compreso tra i tre e i quindici anni. Si calcola che i beneficiari del prestito siano potenzialmente più di 30.000. Queste le cose più importanti. Le opposizioni (dal Fli al Pd) dicono che sono poche, inutili, strumentali. Sbagliato. Sono qualcosa, un principio, una mappa, dopo anni di nulla.
Quello che sta facendo la poco più che trentenne Meloni è cercare una risposta politica a tutto questo. La Meloni ha un ministero senza portafoglio. Non ha soldi. Non fa miracoli. È andata in giro a siglare accordi con banche, imprese, sindacati, università, perfino con Mtv. È riuscita a strappare qualche soldo a Tremonti. È poco? Certo. Ma chi ha idee migliori a costi bassi si faccia avanti. Non si limiti a cantare giovinezza.
C’è una generazione che da più di dieci anni si è abituata a vivere a tentoni. Quando guarda l’orizzonte vede una nebbia indistinta. Fatica a vedere il domani e si smarrisce o si rintana. Il presente qualche volta diventa una birra dopo l’altra da consumare in fretta. Non è una malattia da noia esistenziale. È vivere con l’angoscia che il tuo contratto sta scadendo. Questo significa che non puoi neppure immaginare di comprare una casa, perché tanto il mutuo non te lo danno neppure gli strozzini. Questo significa che se lavori a progetto in un centro di formazione, o insegni da precario in una scuola, come minimo stai tre mesi senza mettere uno stipendio in banca. Questo significa che se hai l’idea di fare impresa, non c’è nessuna banca che ti finanzia, perché non sei nessuno, nessuno crede in te, e un ministro qualche tempo fa ti ha messo sulla testa l’etichetta da «bamboccione». Quel signore non sapeva che se stavi a casa con i tuoi genitori non era per comodità, ma perché ti mancavano i soldi per l’affitto.
Questo eterno presente, senza uno straccio di futuro, ti fa contare le ore che mancano alla tua laurea, perché a quel punto rischi di diventare ufficialmente un fallito. Ti hanno detto che puoi scordati il posto fisso, e va bene. Ti hanno detto di rischiare. Ma ti hanno pure imbrogliato. Perché i sacri testi di filosofia economica, quelli che ti parlano di etica del capitalismo, dicono che chi rischia merita di guadagnare di più. E invece non è vero. Non solo tu sei disposto a condividere le avventure della tua azienda e se vai male ti fanno fuori, ma ti pagano pure di meno, molto di meno, una miseria, di quelli che una volta seduti sulla poltrona dell’ufficio non li sposta più nessuno. Ognuno ha la sua croce. I baby boomer sono scampati alle guerre e hanno beccato uno dei momenti più ricchi della storia mondiale, a chi ha meno di quarant’anni è toccato risanare gli sprechi di quelli più vecchi.
L’eredità dei «vecchi» è un welfare che non funziona più.

Era tarato su una società fordista, sul posto fisso, su un domani che bene o male correva su una strada ferrata. Il futuro quasi sempre era già scritto. Non è più così. Il post Novecento ci ha gridato in faccia che si può scartare di lato e cadere.

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