Roma - Il conto è cominciato. Il 14 dicembre è appena dietro l’angolo, una curva, le ultime rifiniture, contatti che si ripetono frenetici, il discorso di Berlusconi, al Senato la mattina e alla Camera in serata, poi domani si vota. Si gioca sulle assenze, sul senso di responsabilità e sui dubbi. La domanda che da settimane rimbalza dalla politica ai bar è sempre la stessa: che succederà? Il governo regge o cade? Il Cavaliere appare più forte. La sfiducia non dovrebbe passare, anche se la conta continua. L’ultimo appello della maggioranza a Montecitorio parla di 315 deputati. È la quota salvezza. In teoria non è la maggioranza assoluta, quella che ti fa stare tranquillo, ma un numero abbastanza solido da respingere l’assalto della multiforme coalizione antiberlusconiana, la marmellata di partiti che si riconosce in un solo ideale politico: chiudere la stagione del Cavaliere.
La quota 315 è una maggioranza tecnica, serve a superare lo scoglio della fiducia. L’opposizione resta sotto: tra prossime mamme che non riusciranno ad arrivare in aula, ripensamenti e tentennamenti del partito della pensione (quei parlamentari che non amano Berlusconi, ma comunque tengono di più al vitalizio che ancora non hanno maturato) e la paura delle elezioni, la minoranza non ha i 317 voti promessi da Fini e Bocchino. Non basta il ribaltone finiano a far cadere il governo. Tutti questi mesi di chiacchiere e minacce sono solo serviti a boicottare il governo. Gli antiberlusconiani ancora una volta non rappresentano una vera alternativa politica. Faticano in Parlamento e non hanno neppure il coraggio di contarsi davanti al Paese reale. Sanno che gli elettori non si fidano di loro. Il massimo che possono fare è intralciare l’azione di Berlusconi. Sono dei guastatori, ma quando si tratta di costruire qualcosa mostrano tutte le loro debolezze. Tanto è vero che si affidano quotidianamente a eventi extrapolitici. La piazza e il fango sono il cuore della loro politica. Questa è la situazione alla fine del 2010. La vera scommessa è capire cosa accadrà dopo.
Berlusconi non vuole vivacchiare. Non accetta un governo logorato da trabocchetti e imboscate. Se il futuro è questo, meglio andare al voto. A differenza dei suoi avversari lui non ha paura degli italiani. Ma prima di rigiocarsi la partita vuole vedere se ci sono le condizioni per arrivare a fine legislatura. È un impegno che deve al Paese. Non vuole buttare sale sulla crisi economica. Sa che con una maggioranza di 315 deputati non si governa. Ma la fiducia gli permette di guardare l’orizzonte dall’alto, senza sentirsi sotto schiaffo. Si può aprire un dialogo con quelle forze politiche deluse dai giochetti di Fini. Potrebbe cominciare recuperando quelle colombe, come Moffa, amareggiate dall’irresponsabilità del loro leader, prigioniero della sua guerra personale e privata al Cavaliere. Ma i primi interlocutori restano i post democristiani di Casini. Nelle stanze dell’Udc si è capito da tempo che il terzo polo non è una soluzione. Dai finiani li dividono le diverse sensibilità politiche. Casini non si trova a suo agio con i laicisti finiani e oltretutto non si fida delle ambizioni di Gianfranco, che vorrebbe cannibalizzarlo e togliergli spazio al centro. Il problema è che non si fida nemmeno del Cavaliere. E si è esposto troppo per il dopo Berlusconi. Non è detto che l’accordo sia possibile. Anzi. Casini deve salvare la faccia. Per questo il premier sta pensando a un rimpasto di governo, con l’ingresso autorevole di ministri tecnici. Su tutti si fa il nome dell’economista Monti.
Berlusconi pensa di potercela fare e di rinforzare la maggioranza con un grande piano di riforme e di sviluppo economico e sociale. L’obiettivo è pilotare l’Italia fuori dalla crisi. Se tutto va bene si può arrivare a fine legislatura. Altrimenti c’è il voto. E i guastatori resteranno con la bava alla bocca e la poltrona vuota.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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