La terza via ai conti pubblici: il buon senso

L'esecutivo a scelto di non aumentare le tasse. Ora il taglio della spesa

La terza via ai conti pubblici: il buon senso
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In un Paese che ha un debito pubblico di gran lunga superiore alla ricchezza che produce, che costa 100 miliardi di euro l'anno, e che ogni 12 mesi deve trovare investitori che mettano 400 miliardi di euro per finanziarlo, ci sono essenzialmente tre possibili politiche economiche da adottare.

Quella socialista in doppio petto, alla Mario Monti. Più tasse, abolizione delle flat tax, patrimoniale e controlli

ancora più duri sull'evasione. Una politica governata essenzialmente dall'aumento delle entrate pubbliche.

Quella liberista classica, alla Milei. Riduzione della pressione fiscale, deregolamentazione e tagli dolorosi alla spesa pubblica. Una politica pensata per aumentare ricavi e ricchezza della parte produttiva del Paese.

Il governo Meloni nei primi due anni di attività ha bandito la soluzione socialista, ma non ha certo abbracciato quella liberale. È la terza via: una politica economica pragmatica, per niente rivoluzionaria, attenta al consenso interno ed alle cancellerie europee. Non ha assecondato le follie socialiste, ma non ha avuto il coraggio di sposare quelle liberali.

Il professor Roberto Perotti ha calcolato che tra il 2020 e il 2021 sono stati presi impegni di spesa per 400 miliardi di euro: una fucilata per i nostri bilanci. Con i quali deve fare i conti il governo Meloni.

Le due finanziarie, scritte dal ministro Giorgetti, hanno sostanzialmente cercato di muovere le acque senza alzare il loro livello. Hanno giocato con la cassa per anticipare quanto più possibile l'arrivo di risorse fresche (la mossa sulle banche, il concordato preventivo e il connesso ravvedimento) e hanno redistribuito risorse dalle fasce più ricche a quelle meno abbienti. L'anno scorso è avvenuto sulle pensioni (quelle più alte sono state di fatto tagliate in termini reali) e quest'anno sulle detrazioni fiscali che verranno meno per le classi sociali più abbienti. Con questi quattrini, però, non è stata aumentata la spesa pubblica, ma ridotto il peso fiscale per i più deboli.

Di tutto ciò il governo è perfettamente cosciente. Il viceministro delle Finanze, Maurizio Leo, ha più volte dichiarato che si dovrà intervenire per alleviare il peso della fiscalità sulla classe media. Quella del governo è stata dunque una scelta politica e consapevole. Non potendo e non volendo fare più rosso (a differenza del biennio precedente) ha fatto ciò che poteva con le risorse date. In un Paese in cui si spende per interessi sul debito pubblico quanto si impiega per il capitolo istruzione, i margini di manovra sono stretti.

La scelta di campo, sacrosanta, è stata quella di non aumentare la pressione fiscale (in parte ci sono riusciti), ma sul fronte delle spese si è fatto nulla.

O meglio: il minimo indispensabile. Per il semplice motivo che «affamare la bestia», con una opinione pubblica che ritiene che ogni problema si possa semplicemente risolvere aumentando le dotazioni dei programmi di spesa, è politicamente rischioso.

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