Dopo l'incontro di ieri al Quirinale tra il capo dello Stato e il ministro Carlo Nordio, a ore la riforma della giustizia sarà prima approvata dal Consiglio dei ministri e poi incardinata in Parlamento. È un passaggio che definire storico non è retorica: separazione delle carriere tra magistrati inquirenti (i procuratori) e giudicanti (i giudici), sorteggio per i posti apicali in modo da eliminare il suk delle correnti e gran giurì per valutare il comportamento delle toghe. Sono provvedimenti che il Paese aspettava da anni, troppi per rinviare ulteriormente.
Essendo una riforma costituzionale il cammino parlamentare sarà lungo e non privo di insidie e il suo esito molto probabilmente affidato a un referendum perché per evitarlo servirebbero i due terzi di voti favorevoli e non è aria. È però giusto prendere atto che il governo che passa per essere il più conservatore della storia recente si sta dimostrando il più riformista. Oltre a quella della giustizia, fortemente voluta da Forza Italia, in Parlamento sono infatti già in discussione la riforma dell'assetto di governo il famoso premierato cavallo di battaglia di Fratelli d'Italia e la riforma delle autonomie regionali bandiera della Lega.
A memoria non ricordo una simile concentrazione di provvedimenti capaci di cambiare la faccia del Paese, una vera svolta rispetto alla cultura del «nulla si tocca» che, praticata per anni, ha impantanato il Paese nelle sabbie mobili, bloccato la crescita e portato all'instabilità. Legittimo che le opposizioni contestino i singoli contenuti, meno che invece si oppongano per principio al fatto stesso di riformare ciò che palesemente non funziona come peraltro avevano ben previsto i padri costituenti.
Ci sono voluti quasi due anni ma i tre principali impegni presi dalla coalizione di centrodestra in campagna elettorale giustizia, premierato e autonomia - hanno preso forma e sostanza nonostante un potente fuoco di sbarramento politico e mediatico.
Certo, il traguardo finale non è vicino ma del resto nessuno si era illuso che per riformare questa disgraziata Italia sarebbero bastati pochi mesi e forse non basterà una sola legislatura. Ma chi ben comincia recita il detto è a metà dell'opera.
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