Non è accademico il dibattito che si è aperto sul futuro del sistema politico italiano, se dovrà continuare l'alternanza tra opposti schieramenti o se sarà meglio sperimentare la grande coalizione. Diverse le ragioni che indurrebbero a una soluzione di emergenza fondata su un governo che va oltre la maggioranza espressa dal voto popolare: la prospettiva incerta delle prossime elezioni, la crisi economica nel quadro della globalizzazione, l'urgenza della modernizzazione e l'esigenza dei poli di sottrarsi alle pressioni delle estreme.
Sull'ipotesi della grande coalizione sono in molti a ragionare. Non soltanto alcune forze economiche considerate poteri forti alla ricerca di governi tecnici secondo una vecchia tradizione elitaria e alcune frange politiche marginali collocate al centro dei due schieramenti, ma anche autorevoli esponenti politici come il ministro Giulio Tremonti che ha esplorato, se pure in ipotesi, una tale proposta finora messa al bando dal centro-destra.
Duplice sarebbero le ragioni di un governo alla tedesca. Tagliare le ali degli schieramenti che, per quanto marginali, hanno nel sistema bipolare un forte potere di condizionamento. Lo si vedrà nel caso di vittoria dell'Unione, con la forte influenza esercitata dalla sinistra radicale di Bertinotti e compagni. E affrontare con le sole forze politiche moderate e riformiste la difficile situazione economica nel declinante orizzonte europeo con lo spostamento dell'asse mondiale verso Oriente e America.
Tale prospettiva che sembra teoricamente ragionevole, a me pare politicamente astratta. Realisticamente c'è da chiedersi perché mai la coalizione vincente alle elezioni con un margine di seggi alla Camera dovrebbe aprire ai perdenti, o a una loro parte, coinvolgendoli nella gestione del potere. Va inoltre considerato che storicamente il modello del governo dal centro, soprattutto nella sua versione italo-trasformista, è portatore di molti più inconvenienti di quanti ne riesca a risolvere.
In Italia il governo dell'anti-alternanza ha sempre significato Democrazia cristiana, ed è probabile che dello stesso tipo sarebbe l'ipotesi prospettata per domani. Infatti, quel che è sempre mancata nella Repubblica è stata una forza liberale, moderata o riformatrice, capace di dirigere il Paese dal centro mentre al suo posto il potere è stato in mano, finché è esistito, al partito unico dei cattolici. Tutti i segni della nuova ipotetica operazione indicano che la scomposizione dei poli avverrebbe all'insegna, più o meno nostalgica, della tradizione simil-democristiana
In secondo luogo la grande coalizione, come è nella logica politica, sarebbe la sede di tutte le mediazioni possibili e immaginabili con l'abbandono di quelle scelte coraggiose che oggi sono divenute più che mai necessarie per la modernizzazione. Il rilancio dell'Italia può essere affrontato solo se si imbocca con decisione la strada dei tagli necessari, delle scelte rigorose e dei riequilibri sociali. Lo si può fare con due politiche diverse che, per semplicità, chiamerò liberale o socialista, e lo stesso vale per la politica estera e per i diritti civili.
Un centro simil-democristiano intorno a cui si svilupperebbe la grande coalizione sarebbe la negazione della più importante conquista di questi anni: l'alternanza fondata sulla contrapposizione tra gli uni e gli altri e il governo di legislatura: che altro non è se non la formula praticata dalle democrazie liberali dell'Occidente.
m.teodori@agora.it
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