
Quando sentiamo dire di qualcuno «ha fatto della propria vita un'opera d'arte», pensiamo a un esteta, a un Gabriele d'Annunzio, un Joris-Karl Huysmans, un John Ruskin, un Oscar Wilde. Non pensiamo a Thomas Mann. Perché l'esteta è tale anche fuori della propria opera, lo è nei modi, negli usi, nei costumi, nel vestire, nelle idiosincrasie, nelle passioni, nelle virtù esibite e nei vizi... altrettanto esibiti, insomma, lo è anche nel recitare la parte dell'esteta. Invece Thomas Mann non era, fuori dai suoi libri, un esteta, era un semplice signore altoborghese, elegante, certo, ma non eccentrico; dall'aspetto altero, ma senza alterigia; dal tratto aristocratico, ma non sprezzante; in alcune occasioni, soprattutto in famiglia, addirittura incline al motteggio e a brevi scorribande nel comico, ma non prendendo di mira gli altri, bensì se stesso.
Allora perché uno fra i più grandi studiosi di Thomas Mann, Hermann Kurzke (1943-2024), intitolò nel 1999 Thomas Mann. Das Leben als Kunstwerk la sua biografia dell'autore della Montagna incantata (o magica che dir si voglia), del Doctor Faustus e di tanti altri capolavori del Novecento? Perché in Thomas Mann è la Kunstwerk, l'«opera d'arte», a contare più della Leben, della sua stessa «vita». È vero, leggendo ora, per la prima volta tradotto in italiano, Thomas Mann. La vita come opera d'arte, questo tomone di 700 pagine (Carocci, euro 64, traduzione di Anna Ruchat), apprendiamo come l'intera bibliografia del lubecchese sia germogliata dalla sua vita, che si tratti di sentimenti o di posizioni politiche, di studi o di sogni, di omaggi o di rese dei conti. Ma capiamo anche che in lui, profondamente nietzschiano e peraltro sempre ossessionato dall'idea della morte, la vita corrispondesse alla dionisiaca madre, la bellissima e solare Júlia da Silva Bruhns, nata in Brasile, e il lavoro corrispondesse all'apollineo padre, l'austero e rigoroso senatore e commerciante Thomas Johann Heinrich Mann.
Le opere di Mann sono sempre la sintesi di dionisiaco e apollineo, di caos e ordine, e a prevalere è il secondo, con architetture perfette come quelle di Piero della Francesca. Ma i suoi diari, che Kurzke ha analizzato da cima a fondo, sono la ribollente fucina in cui scoccano le scintille dell'arte letteraria. Lasciamo ai lettori il sommo piacere di godere, in racconti, saggi e romanzi, l'apollineo Mann e cogliamo qualche manniana favilla dionisiaca tratta dalla sua vita e offertaci da Kurzke.
BRUTTI VOTI
Al liceo, viene bocciato due volte. Ne soffre? Per niente, anzi gusta in anticipo la condizione di reietto. «L'istituto non pretendeva più niente da me (...). Frequentavo le lezioni, ma per il resto vivevo per così dire a piede libero». Poi, nel Doctor Faustus chiamerà la voglia di guerra che eccitava la Germania (lui compreso) nel 1914 un «marinare la scuola». Idem per la «rivoluzione tedesca» del 1933, ovvero il nazismo: un «fanciullesco marinare la scuola».
CUORE D'OMO
In ordine cronologico, ecco i suoi amori: Armin Martens, compagno di scuola; Williram Timpe, compagno di scuola; Otto Grautoff; Mary Smith, un'inglese conosciuta durante un soggiorno a Firenze; il violinista Paul Ehrenberg; Klaus Heuser, diciassettenne conosciuto in vacanza sull'isola di Sylt; Cynthia, diciassettenne conosciuta negli Stati Uniti; Franz Westermeier, cameriere conosciuto al Grand Hotel Dolder di Zurigo. E la moglie Katia? Grande affetto, stima immensa, fiducia illimitata, ma l'amore era un'altra cosa.
ESORDIO CESTINATO
Da studente invia a un giornale della sua Lubecca «un brano di prosa esageratamente sentimentale e pieno di colore», intitolato Farbenskizze (Schizzo a colori). Un redattore ha il buon gusto di inviargli un biglietto di risposta: «Se le capitano spesso di questi attacchi, dovrebbe farsi curare».
SOLDATO INABILE
L'1 ottobre 1915 scrive a un amico: «La mia chiamata per la visita all'inizio della guerra è stata un episodio della massima corruzione. Il medico militare, persona evidentemente molto civile e cieco ammiratore delle belle arti, nel sentire il mio nome cadde in uno stato di lieta disponibilità e mi riformò affinché potessi starmene tranquillo».
NAZIBOLSCEVICO
Dal diario del 19 novembre 1918: «Sono inorridito dall'anarchia, dal predominio della plebe, dalla dittatura del proletariato e da tutte le loro manifestazioni e conseguenze collaterali à la russe. Ma il mio odio per la trionfante retorica borghese mi costringe ad auspicare la bolscevizzazione della Germania e la sua annessione alla Russia». Ma... in Geist und Geld (Spirito e denaro), scritto il 21 marzo 1921: «Personalmente, ad ogni modo, sono stato fin da giovane un beneficiato dall'ordine capitalistico del mondo, ragione per cui non me la sentirò mai di sputare su di esso come oggi è molto à la mode». Però... scrive il 22 novembre 1949: «Talvolta desidero che l'Europa si possa organizzare in un'unica unità comunista di stati ben disciplinati. Sarebbe cosa da augurare all'America».
LA MONTAGNA SBAGLIATA
Katia sta male. Problemi di respirazione. Le fanno una radiografia: signora, le consigliamo di cambiare aria, a Davos c'è una struttura eccellente. Insomma, si tratta di tubercolosi. Lei parte, Thomas resta a casa. Ma poi va a trovarla, e si ferma tre settimane. Come Hans Castorp nella Montagna incantata... Ma, spiega Kurzke: «Per puro caso si sono conservate le radiografie dei polmoni di Katia: nessuna traccia di tubercolosi, dicono oggi gli esperti».
LAVORO IN FUMO
Kurzke: «Di regola sono dodici sigarette e due sigari leggeri al giorno. Thomas Mann come fumatore era così noto che la ditta Hagendorn & Figli nel 1925 prese in considerazione la possibilità di mettere sul mercato un sigaro chiamato Thomas Mann».
LAGER SFIORATO
Ad Hanns Johst, poeta e drammaturgo fedelissimo alla linea nazionalsocialista, il Thomas repubblicano non sta molto simpatico. Il 10 ottobre 1933 manda una lettera a Himmler proponendone l'internamento di a Dachau. Lettera cestinata, probabilmente.
THOMAS PRIDE
Mann è favorevole all'uguaglianza fra i sessi. Tutti e quattro i sessi. L'unico conflitto che vede è quello fra l'omoerotismo e il matrimonio. Con tanto di tabella. L'omoerotismo è «arte», il matrimonio è «vita»; l'o. è «morte», il m. è «vita»; l'o. è «estetica», il m. è «etica, morale»; l'o. è «individualismo», il m. è «socialità»; l'o. è «pessimismo», il m. è «operosità, rettitudine»; l'o. è «libertà orgiastica», il m. è «accettazione dei vincoli».
RELIGIONE QUASI ATEA
«Credere è una grande voluttà dell'anima. Ma non credere è una beatitudine quasi maggiore» fa dire al faraone Amenhotep in Giuseppe il Nutritore, ultima parte della tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli. Inoltre pensa che le dottrine religiose siano dei cliché vuoti, come le case abbandonate che «stanno in piedi, durano, ma nessuno vi abita» e che annoiano Dio. Un esempio della sottile ironia manniana: «È incredibile fino a che punto questo grumo di terra mi conosce! Non comincio a farmi un nome per opera sua?» esclama Dio in Il giovane Giuseppe.
STATI NON MOLTO UNITI
Gennaio 1944: esame per ottenere la cittadinanza statunitense. Come al liceo, non ha studiato (al contrario della secchiona Katia), ma questa volta non fa lo sbruffone, ed è molto agitato. Cinquanta minuti di interrogazione sulla Costituzione e la storia degli Usa, una tortura. Alla fine l'esaminatrice, prima gli dice d'essere rimasta molto stupita dal suo miscuglio d'ignoranza e di senno, poi... prende una copia dei Buddenbrook e gli chiede di autografarla. Dell'America gli piace la libertà e l'essere alla mano della gente. Non gli piacerà, di lì a poco, il maccartismo. «Ma che in questo paese, di cui è stato per me un onore e un piacere diventare cittadino, l'odio anticomunista, isterico, irrazionale e cieco rappresenti un pericolo molto peggiore del comunismo interno; che la follia persecutoria, l'ira persecutoria, in cui si è caduti e in cui si è pronti a lasciarsi trascinare anima e corpo, non solo non possa portare a niente di buono, ma possa condurre al peggio se non ci si ravvede in tempo - è cosa che in questa occasione andava detta».
Siamo nel 1951. Gli mancano quattro anni da vivere.
Poco prima di andarsene, nel Saggio su Schiller, lui che veniva chiamato «il Mago» parla come un profeta, ovviamente di sventura: «Furore e angoscia, odio superstizioso, terrore panico e una sfrenata smania persecutoria, un'umanità cui lo spazio cosmico giunge opportuno per porvi basi strategiche, e che scimmiotta l'energia solare per produrre da essa, empiamente, armi di sterminio».
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