Le grandi manovre Telecom

Nella distrazione generale per lo scontro elettorale in corso, nei mercati borsistici avvengono cose non sempre comprensibili, in particolare per i piccoli risparmiatori. Una tra queste, ad esempio, è la vicenda Telecom. Dall’inizio dell’anno il titolo ha perso il 24% del proprio valore mentre l’indice generale della borsa ha perso solo il 14%. Oggi il titolo Telecom vale poco più di 1,60 euro, il punto più basso dal 1997. Diciamo subito che la crisi dei mutui americani c’entra ben poco con la caduta del titolo Telecom. La illiquidità dei fondi legata alla crescente diffidenza di ciascuna banca rispetto alle altre ha messo in moto massicce vendite di quei titoli che avevano già maturato plusvalenze e questo non era il caso di Telecom. Vediamo allora se per caso i fondamentali di Telecom, cioè i dati industriali, siano peggiorati. L’azienda guidata da tre mesi da Franco Bernabè sui dati dei primi tre trimestri dello scorso anno ha un fatturato di 32 miliardi di euro con un indebitamento di 37 miliardi e il cosiddetto ebitda (gli utili prima degli interessi delle tasse e degli ammortamenti) di oltre 12 miliardi. Gli utili netti al 31/12/06 erano di 3 miliardi di euro e tutto lascia credere che il 2007 riconfermi nella sostanza questa cifra. Un indicatore utile per il mercato è il rapporto tra il debito e l’ebitda. Quando è intorno a tre volte è ritenuto tollerabile dagli analisti finanziari e a oggi per Telecom quel rapporto è di 3,1 volte. Con questi dati il valore dell’azienda sarebbe di oltre 45 miliardi di euro moltiplicando l’ebitda per 6,5, un multiplo ampiamente accettato per quel tipo di aziende. E invece Telecom a oggi capitalizza in borsa poco meno di 30 miliardi di euro. Se la colpa allora non è della crisi creditizia innescata dai mutui americani e se i fondamentali industriali sono quelli descritti, la ragione del crollo del titolo deve trovarsi altrove. E qui comincia la bonaria malizia dei vecchi capi indiani che si poggia sull’antica massima del «cui prodest», cioè a chi conviene che il titolo sia così basso. Il nuovo socio di riferimento della Telecom è la società Telco (Mediobanca, Intesa, Generali e la spagnola Telefonica) che ha rilevato il pacchetto detenuto da Tronchetti Provera (il 23% del capitale) pagando ogni azione 2,60 euro, guarda caso lo stesso valore aziendale (46 miliardi di euro) al quale arriviamo noi con il ragionamento sopra riportato sui fondamentali industriali. Stando così le cose l’ispirazione che ci arriva da Manitou, è che probabilmente siamo alla vigilia di un aumento di capitale riservato agli azionisti per cui se il titolo resta su questi bassi livelli è possibile che per ogni due vecchie azioni ve ne sia una acquistata a poco più di 1 euro. Se così fosse, la società Telco sottoscrivendo l’aumento di capitale per la parte che lo riguarda medierebbe l’attuale prezzo del suo 23% intorno a 2 euro senza considerare il possibile rastrellamento di azioni ordinarie o di risparmio avvenuto in questi mesi. Questo meccanismo è stato già collaudato con la vicenda Fiat di qualche anno fa quando il suo titolo scese di molto prima e durante l’aumento di capitale chiuso al 30/07/2003 per poi esplodere nei successivi tre mesi guadagnando quasi il 40%. Anche allora il dio indiano Manitou ci ispirò e fummo tra i pochissimi a pronosticare da queste colonne l’ascesa esplosiva del titolo Fiat. In quell’occasione molti piccoli risparmiatori presi dall’angoscia vendettero a piene mani mentre altri, sempre ispirati da Manitou, comprarono e guadagnarono cifre importantissime. La stessa cosa forse avverrà per Telecom.

Può darsi che questa volta sbagliamo, ma davvero non troviamo altra spiegazione per la continua caduta del titolo Telecom ben conoscendo, peraltro, le mille furbizie e i mille conflitti di interesse presenti nei mercati finanziari.
Geronimo

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