Guerra fredda e valori liberali così persero i regimi comunisti

L’Occidente si è imposto sull’Urss più con i suoi stili di vita che con la superiorità tecnica e militare

È nelle sale cinematografiche il film di Zack Snyder che racconta dell’eroica resistenza alle Termopili dei trecento opliti guidati da Leonida. La definitiva vittoria dei greci aprì la strada al mezzo secolo più luminoso della loro storia, a cavallo della metà del V secolo, prima che la rivalità militare e ideologica fra Atene e Sparta sfociasse nella Guerra del Peloponneso.
Sebbene Hegel sostenesse (e Marx gli facesse eco) che la storia si ripete, la prima volta in forma di tragedia, la seconda come farsa, i politologi hanno largamente utilizzato le evidenze emerse dalla rivalità fra Atene e Sparta per studiare la Guerra fredda. Ma cosa ci sarebbe di tanto istruttivo in questo, e nella principale opera di Tucidide, grazie alla quale ne abbiamo cognizione? Al di là del fatto che con questo autore è nata la storiografia scientifica, ben più della narrazione storica inaugurata da Erodoto, nel libro V della Guerra del Peloponneso incontriamo il famoso «Dialogo dei Meli», che sta alla base del realismo politico occidentale.
Cosa vi si dice? In sostanza che quanti hanno la forza dalla loro parte hanno anche il diritto (e quasi il dovere) di dominare, mentre chi si trova in una condizione di manifesta inferiorità non può fare altro che stringere un’alleanza (ineguale) con coloro che sono in grado di dare protezione, rinunciando a una quota della propria sovranità.
Le ragioni del diritto e della giustizia, nel dialogo sostenute dai Meli, non hanno alcun peso là dove gli attori politici sono costretti all’autotutela.
Quale migliore chiave di lettura della Guerra fredda, ora che se ne torna a parlare, in parte in chiave storica, in parte in termini politici? In questi giorni, da Mondadori esce La Guerra fredda. Cinquant’anni di paura e di speranza di John Lewis Gaddis, uno dei maggiori specialisti del problema. Il libro si giova di nuove fonti in riferimento alla Guerra di Corea (si tratta soprattutto della corrispondenza fra Stalin, Mao e Kim Il Sung), di nuove notizie sui rapporti fra il Pci e le autorità sovietiche e di notizie poco note sull’organizzazione del potere nella Cina di Mao e in diversi Paesi dell'Europa orientale, e naturalmente delle loro relazioni con l’Unione Sovietica.
Ma soprattutto il libro di Gaddis ha il merito di dire una cosa con molta chiarezza, e cioè che la vittoria occidentale della Guerra fredda è stata, in grande misura, un portato ideologico.

Per quanto contino le questioni militari (e paramilitari), e pur riconoscendo il peso della superiorità tecnologica americana, non si può negare la crescente erosione di consenso a cui sono andati incontro i regime comunisti, erosione che era tanto più forte quanto più era noto lo «stile di vita» e i valori liberaldemocratici.
Anche la lotta contro il terrorismo internazionale si può vincere solo su questo terreno, e il libro di Gaddis ha il merito di ricordarcelo.

John Lewis Gaddis, La guerra fredda (Mondadori, pagg. 326, euro 19)

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