Joe Biden sarà in Israele per cinque ore per cercare di disinnescare la bomba mediorientale. L'obiettivo della visita in Israele, ha fatto sapere la Casa Bianca in una nota, è "dimostrare il fermo sostegno" allo Stato ebraico "di fronte al brutale attacco terroristico di Hamas e per consultarsi sui prossimi passi". Nei fatti, la visita di Stato ritarderà almeno di 24 ore l'operazione su Gaza. Salta, invece, la tappa in Giordania: nonostante l'annullamento del vertice di Amman, la Casa Bianca fa sapere che "non vede l'ora di potersi consultare presto di persona con questi leader e ha concordato di rimanere regolarmente e direttamente impegnato con ciascuno di loro nei prossimi giorni".
La notizia era stata anticipata da ore dalla stampa israeliana, ma l'annuncio ufficiale della missione è arrivato solo nella notte tra domenica e lunedì. La Casa Bianca infatti ha aspettato che arrivasse l'impegno da parte di Benyamin Netanyahu per il pacchetto di misure umanitarie con cui Antony Blinken era tornato in Israele dopo il suo tour nei Paesi della regione. Un assenso, ricostruisce oggi il Washington Post, che è arrivato dopo una maratona negoziale di 7 ore e mezza tra diplomatici americani e israeliani. Al centro dei negoziati la questione dell'arrivo degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la creazione di zone sicure per i civili palestinesi. Solo quando Blinken ha ricevuto assicurazioni, da Washington è stata annunciata la missione del presidente americano in Israele, che arriva mentre si aspetta l'annunciato inizio dell'operazione di terra a Gaza.
L'agenda di Biden in Medio Oriente: quanto è opportuna?
Un'agenda precisa non è stata ancora diramata ma, secondo fonti di stampa, Biden resterà nel Paese per cinque ore e incontrerà il premier Benjamin Netanyahu, il presidente Isaac Herzog e alcuni dei familiari di dispersi e ostaggi tenuti dal Movimento islamico nella Striscia. Biden sarebbe dovuto volare ad Amman, in Giordania, per incontrare il re Abdallah, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, nonchè presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen: quest'ultimo ha per primo annullato il vertice in seguito all'episodio dell'ospedale Al Ahli Arab colpito a Gaza. A seguire, nella tarda serata di ieri, la Giordania ha cancellato il summit a 4 su Gaza e il futuro dei palestinesi, facendo saltare la tappa locale del presidente Usa che ha comunque confermato di aver concordato la scelta. Il presidente dovrebbe parlare con l'omologo egiziano e il leader dell'Anp al telefono durante il viaggio di ritorno da Israele a Washington. Lo ha riferito il portavoce della Casa Bianca John Kirby, citato dal Washington Post.
Una visita ad alto rischio che pone almeno tre ordini di problemi: la sua opportunità, la sua utilità, la sua efficacia. Per quanto riguarda il primo punto, occorre sottolineare che Biden non è un capo di Stato qualunque. La sua presenza porta nell'area una bandiera che, nel bene e nel male, rappresenta un lato della questione. La sua sortita in loco non verrà di certo digerita da Hamas che potrebbe nelle stesse ore della visita rincarare la dose, sia con un aumento esponenziale della virulenza degli attacchi (assieme ai suo accoliti all'estero) che nei confronti degli ostaggi rimasti. Una presenza che dunque rischia gettare benzina sul fuoco nonché di arrecare danno a tutti i civili, in Israele come nei territori palestinesi. Senza poi dimenticare che il transito del presidente degli Stati Uniti pone delle sfide di sicurezza che spillano mezzi e uomini in una fase molto critica che precede il presunto attacco a Gaza. A questo si aggiungono le piazze mediorientali che esplodono di rabbia verso l'Occidente.
La visita di Biden in Medio Oriente: quanto utile? Quanto efficace?
Il secondo aspetto riguarda l'utilità della visita: occorre, infatti, riflettere su cosa e chi stia andando a sostenere Biden in Israele e se sia davvero sua la figura più utile a dare una svolta alla vicenda, contribuendo ad una de-escalation. E su questo punto è necessario fare delle riflessioni su Biden-l'uomo. Classe 1942, Biden è un politico di lunga carriera, ma non è un politico di razza, cosa che ha dimostrato come candidato e come presidente.
Un ottimo vicepresidente, eccellente nel suo garbo e nella sua funzione "parallela", ma un presidente perennemente in contraddizione, gaffeur, privo di smalto a capo di una grande potenza in crisi. Come già raccontato da queste colonne, Biden non è Clinton, autore di ben più storiche strette di mano, tantomeno Bush Jr, nel ruolo di comandante in capo Usa sovente in mimetica. In altre parole, Biden in Medio Oriente rischia di creare più disastri che miracoli diplomatici.
Quanto all'efficacia della visita, occorre pensare agli incontri lampo che il presidente americano avrà in Medio Oriente. Perché i suoi toni da presidente Usa “senza se e senza ma” in quest’angolo percosso di mondo non possono funzionare, ammesso che voglia utilizzzarli. Non bisogna aspettarsi il Biden al castello di Varsavia o alle prese con la visita a sorpresa a Kiev dello scorso febbraio: due momenti che di per sé, al di là delle parole pronunciate, ha mostrato compattezza della Nato e ridato smalto-anche se per poco- a una presidenza assonnata e caotica.
Dopo la visita lampo in Israele dove, secondo le indiscrezioni, Biden si concentrerà sulle conseguenze umanitarie, la visita in Giordania (poi saltata) è segno della disperazione dei tempi. Eccezion fatta per il re, Al-Sisi e Abu Mazen (se non fosse saltato il meeting) sono davvero gli uomini a cui la Casa Bianca si appella per la pace? Quanto valgono le parole di un presidente egiziano che affonda e che cerca sponda e denaro (vedasi il caso del valico di Rafah)? E se l'incontro non fosse saltato, quanto vale la stretta di mano di un rappresentante palestinese che regna ma non governa, e che per giunta sostiene che Hitler “perseguitò gli ebrei europei perché si occupavano di usura e di traffici monetari”?
Le vere ragioni della visita di Biden
Ma forse c’è un’altra domanda da porsi. Biden sarà in Medio Oriente per dare o per ricevere? Se il supporto all’alleato è indubbio sulla carta, le potenti manifestazioni avvenute negli ultimi giorni negli Stati Uniti danno la misura di un cambio di narrazione. Gli inviti alla moderazione, il ribadire di ritenere “un grosso errore” l’occupazione di Gaza, il premere sulla soluzione a due Stati-cosa che non ha mai nascosto- si sommano ai vari episodi di idiosincrasia avuti nei confronti di Netanyahu. I due sono alleati, ma amici è difficile crederlo. Nonostante i suoi limiti politici e personali evidenti, Biden sta portando in Medio Oriente la sua visione. Il presidente degli Stati Uniti farà "domande difficili" durante i suoi incontri con i leader israeliani: lo ha riferito il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, ai giornalisti che hanno viaggiato con Biden sull'Air Force One. Kirby ha spiegato che Biden vuole avere un'idea dagli israeliani sui loro obiettivi nei prossimi giorni; e ha aggiunto che gli Stati Uniti sono ottimisti sul fatto che gli aiuti umanitari arriveranno a Gaza.
Quella della Casa Bianca non è, o almeno non pare affatto, una missione di soccorso, un abbraccio all’alleato ferito. Si tratta di un tentativo di imporre un ruolo di patron che ha tutto l’interesse a far pesare il proprio apporto economico e militare, nonché a intestarsi la de-escalation, imponendosi come autorità morale sulla cappa di morte calata a Gaza e altrove.
Senza dimenticare che la visita costituisce una stoccata nei confronti di Donald Trump, che ha criticato Netanyahu per aver riconosciuto la vittoria di Biden nel 2020 e reo di aver lodato Hezbollah. Un'immagine che restituisca un briciolo di mitopoiesi, a casa come all’estero, in vista del 2024 e che tradisce la più pragmatica delle ragione: Washington non può permettersi un “secondo fronte”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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