Caccia, portaerei e pressing diplomatico: Usa in allerta per Israele

Washington è pronta a intervenire con le proprie forze aeree e navali. Ma mentre si vocifera di un pressing sull'Egitto per un accordo sui rifugiati, la diplomazia Usa sembra essere finita in un vicolo cieco

Caccia, portaerei e pressing diplomatico: Usa in allerta per Israele

La Difesa degli Stati Uniti è pronta al soccorso di Israele, soprattutto dal mare e dall’aria per difendere il Paese da Hezbollah e dai proxy iraniani. Nel frattempo le forze israeliane sono pronte all'attacco su Gaza, che potrebbe avvenire da un momento all'altro in questa strana in questa strana drôle de guerre.

Marina e Aeronautica Usa in prima fila

Uno degli esempi più visibili della risposta americana è senza dubbio l’invio del gruppo di assalto della portaerei Gerald P. Ford che include un’ala aerea imbarcata, incrociatori e cacciatorpediniere di accompagnamento. La portaerei aveva appena terminato un’esercitazione con la Marina italiana quando è stato chiesto al suo equipaggio di 5mila uomini di portarsi verso il Mediterraneo orientale. Ad una settimana dagli attacchi è stata la volta anche della Uss Dwight Eisenhower e al suo gruppo d’assalto a cui è stato ordinato di raggiungere la Ford con il compito di “scoraggiare azioni ostili” o di ampliare gli attacchi a Israele secondo quanto dichiarato dal capo della Difesa Usa Lloyd Austin. Le portaerei possiedono un ruolo primario in questo tipo di scenario poiché servono come centri operativi di comando e controllo, potendo inoltre fungere da base di decollo per gli aerei di sorveglianza E2-Hawkeeye: questi ultimi servono a rilevare tempestivamente il lancio di missili, effettuano missioni di sorveglianza e gestiscono lo spazio aereo.

portaerei Usa Ford

Le portaerei, inoltre, sono basi di lancio per i caccia F-18, che possono intercettare o colpire gli obiettivi. Last but not least, queste gigantesche unità galleggianti servono anche per i soccorsi umanitari (medici e non), rifornimento merci e trasporto delle vittime. Per rafforzare la loro presenza in Medio Oriente, a seguito dell’attacco di Hamas in Israele, gli Stati Uniti sono pronti a schierare l’élite delle loro forze aeree. Innanzitutto gli F-15 Strike Eagle, caccia cosiddetti “a doppio ruolo” in grado di svolgere missioni aria-aria e aria-terra. Il Pentagono ha anche ordinato altri aerei da guerra per rafforzare le difese aeree in tutto il Medio Oriente: A-10, i sopracitati F-15, F-16. Ma a Fort Bragg sarebbero stati allertate anche due squadre speciali: la Delta Force dell'Esercito e il Team Six dei Navy Seals, lo squadrone della Marina che lavora in contesti estremi, che ha nel suo curriculum la missione pakistana che portò all'uccisione di Osama Bin Laden.

navy seals

Il pressing Usa sull'Egitto

Ore cruciali anche per la diplomazia occidentale che cerca sponda in Egitto. Secondo le indiscrezioni pubblicate dall’Economist, a Washington sarebbero in corso serrati negoziati con l’Egitto per persuadere Il Cairo ad accogliere migliaia di rifugiati palestinesi in cambio di lauti prestiti per sanare il debito egiziano. La speranza è quella di far rivivere il precedente con Mubarak nel 1991, in piena Guerra del Golfo. Il segretario di Stato americano Antony Blinken tornerà domani in Israele per incontrare il premier Benjamin Netanyahu: il capo della diplomazia di Washington si trova oggi al Cairo, sesta tappa di una missione che da giovedì lo ha portato in Israele, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati arabi uniti. L'Egitto, in queste ore, ha lanciato l'invito a un summit regionale e internazionale sul futuro della causa palestinese, prima dell'arrivo al Cairo del segretario di Stato americano.

Il governo egiziano insiste che faciliterà l'arrivo degli stranieri intrappolati nella Striscia di Gaza - da giorni sotto gli intensi bombardamenti da parte di Israele, rappresaglia per l'attacco del gruppo islamico Hamas - ma prima vuole certezze e che le ambasciate adottino "misure per verificare i documenti" dei loro cittadini. L'Egitto vuole anche il permesso "di inviare aiuti umanitari e rifornimenti per alleviare la pressione" sui civili di Gaza, una delle condizioni poste dal Paese per consentire l'uso del valico di Rafah, unico punto di uscita dalla Striscia che non è controllato da Israele. "Ci sono numerosi (cittadini di Paesi terzi). Lo abbiamo detto più volte, l'Egitto faciliterà (la partenza degli stranieri) se verranno prese tutte le misure per verificare i loro documenti e se ci arriveranno gli elenchi dalle loro ambasciate", ha riferito il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, in un'intervista alla Cnn.

Il capo della diplomazia egiziana ha invitato ancora una volta Israele a "rispettare il diritto internazionale umanitario" e "a rispondere alle paure e alle difficili circostanze vissute dai civili palestinesi" a Gaza a causa dei bombardamenti israeliani. Ieri le autorità egiziane non hanno autorizzato l'ingresso nel loro Paese degli stranieri residenti nella Striscia di Gaza attraverso Rafah, sottoponendo il passaggio all'ingresso concomitante degli aiuti umanitari nell'enclave palestinese. La decisione dell'Egitto è motivata dal timore di un esodo di massa, dopo che Israele ha dato l'ultimatum alla popolazione di Gaza perché si sposti da Nord a Sud della Striscia, prima dell'attesa invasione.

Gli sforzi diplomatici Usa

Diplomazia americana in bilico, e in estrema difficoltà, incastrata fra il caos politico di Capitol Hill, la necessità di una distensione in patria in vista del 2024 e le promesse Usa. Perché se sul fronte ucraino ci si può permettere un certo attendismo e anche qualche passo indietro, nella Nato noblesse oblige. Ma secondo un’indiscrezione del Huffington Post, agli alti in grado sarebbe stato dato l’ordine di essere molto cauti con le parole come “cessate-il-fuoco”, “bagno di sangue”, “ripristinare la calma” per non dare l’idea di voler influenzare le mosse di Israele. Anche nelle parole della Sicurezza Nazionale, a mezzo di John Kirby, l’intento è di “non fare il tifo per le tattiche sul campo”.

Ancora una volta l’enigma viene da Joe Biden, pressato non solo dal Gop ma anche dalla sinistra all’interno dei democratici: i suoi alleati al Congresso, così come nella Nato, potrebbero chiedere a Washington di utilizzare la propria moral suasion per indirizzare Netanyahu a concentrarsi sugli aspetti umanitari. Si veda il caso della deputata Sara Jacobs, californiana nella Commissione Affari Esteri che ha chiesto a gran voce la revoca dell’evacuazione di Gaza (la sua famiglia è in Israele).

Un gesto seguito dalla missiva di 55 democratici alla Camera che hanno chiesto al presidente Biden di premere sul governo israeliano affinché si attenga al diritto internazionale, soprattutto umanitario. A questo si aggiunge la visita di Blinken in Medio Oriente, al cospetto di Abu Mazen, che ha fatto storcere il naso a più di qualcuno a Capitol Hill.

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