Lo scorso sabato, a poche ore dall'attacco di Hamas, si sono moltiplicati gli attori scesi in campo, l'uno contro l'altro armati, per dire la propria sulle ore drammatiche che Israele e Palestina stanno vivendo. La ferocia con cui è stato attaccato il Paese è chiaramente diretta contro Israele, ma il messaggio politico di Hamas è molto più sottile, decisamente rivolto anche all' "altra metà” della causa e dell'identità palestinese: l'Anp di Abu Mazen.
Il silenzio di Abu Mazen nei confronti di Hamas
Da quando Gaza è finita tra le spire di Hamas, non solo militarmente, ma soprattutto politicamente, l'intera vicenda del conflitto israelo-palestinese si è ripiegata attorno alla Striscia. Tuttavia, non si può dimenticare che quest'ultima, essendo di fatto governata dal 2007 da Hamas, è anche simbolo della battaglia fratricida tra quest’ultima e Fatah. Questo fattore obbliga Israele a concentrarsi prevalentemente sulle minacce provenienti dalla Striscia ma, allo stesso tempo, consente ad Hamas di divorare la voce dei palestinesi.
Negli ultimi giorni c'era stato un grande assente sui fatti di Israele, il cui silenzio è stato commentato da molti come "assordante": Abu Mazen. Le uniche parole provenienti dal leader palestinese erano state di condanna “per le uccisioni di civili da ambo le parti”. Il leader ha chiesto la fine immediata dell'”aggressione al popolo palestinese”, ma ha ribadito il rigetto delle pratiche relative all'uccisione o agli abusi sui civili da entrambe le parti “perché violano la morale, la religione e il diritto internazionale”. Un discorso dalla grande moralità di facciata, ma dalla scarsa verve politica. Abu Mazen possiede un credito ed un riconoscimento internazionale, ma in questa fase è l'ultima delle voci in capitolo nelle sorti dell’area. Non va dimenticato, infatti, che il leader della Anp vive il terrore delle libere elezioni dal 2009, temendo di dover cedere il passo ad Hamas.
Un autogoverno che procede a forza di inerzia, ma che non sembra spostare alcun equilibrio, non godendo di alcun potenziale di ricatto tanto meno di collaborazione, per dirla alla Sartori. 87 primavere, forse troppe per reggere le redini di ciò che dovrebbe essere il nucleo centrale di una Palestina indipendente, libera e democratica. Una gestione con poche luci e molte ombre, che ha sempre provocato la diffidenza occidentale ma anche quella del fronte pro-Gaza, certamente più a suo agio a interloquire con Hamas.
Anp vs. Hamas: Blinken da Abu Mazen
In queste ore, l'arrivo di Anthony Blinken in Medio Oriente giunge a rinfocolare la special relationship tra Stati Uniti e Israele: le fonti palestinesi avevano anticipato due giorni fa che Abu Mazen lo avrebbe incontrato nel quadro dello sforzo congiunto tra Giordania e Palestina per fermare il conflitto: e così è stato. Washington cerca sponda nell'ala moderata, si fa per dire, del mondo palestinese, ma a costo di balcanizzare ulteriormente il conflitto. Blinken e Biden non sono Clinton, così come Netanyahu e Abu Mazen non sono Rabin e Arafat. Cercare un appeasement in un momento in cui i razzi non smettono di piovere e la ricerca casa per casa dei terroristi di Hamas non è ancora terminata, rischia di rendere l'operazione di Washington grottesca. Questo non solo perché Abu Mazen è un leader spogliato di credibilità e di autorità dalle urla di Hamas, ma perché l'Occidente sedicente liberale dovrebbe guardarsi bene da interloquire con un'autorità che di democratico ha pressoché nulla.
Abu Mazen regna, Hamas governa
Abu Mazen non possiede l'esteriorità, le forze e la capacità di mobilitazione di Hamas, ma non va dimenticato che poco più di un mese fa dichiarò che Hitler “perseguitò gli ebrei europei perché si occupavano di usura e di traffici monetari”. Una frase che in giro per il mondo non ha suscitato l'ondata di indignazione che meritava. La frase era stata pronunciata a Ramallah davanti al Comitato rivoluzionario di Fatah, negando il nucleo antisemita delle persecuzioni ebraiche da parte di Hitler. Non solo, l'occasione fu "lieta" per rispolverare una serie di stereotipi antisemiti profondamente radicati, legati al mito del complotto ebraico contro il mondo. Quanto basta a mostrare Il vero volto della leadership palestinese sedicente moderata.
Affermazioni che cozzano contro la soluzione dei due Stati che Abu Mazen invoca da sempre. Forse un canto del cigno, un ultimo tentativo di alzare la voce da parte di un leader che non conta più nulla in casa come all'estero. Ma l'attacco di Hamas ha dimostrato come le strette di mano siano solo la punta dell'iceberg di qualcosa di più profondo e che passa attraverso rifornimenti militari e finanziamenti per lo più occulti: non serve essere ospitati a Teheran o a Mosca per ottenere la protezione di patron potenti, utili a mettere a ferro e fuoco il Medio Oriente. Il patinato Abu Mazen, dunque, stringe mani, e regna. Hamas, invece, governa.
La Cisgiordania minacciata da Hamas
Nelle ore in cui l’attenzione resta concentrata sulla striscia di Gaza, è stato a lungo difficile comprendere cosa stesse accadendo in Cisgiordania. il quadro che però viene restituito nell'ultima settimana racconta come, che da Nablus a Hebron, Hamas sta conquistando terreno. Qui i gruppi armati mirano agli insediamenti. L'area è in lockdown, le città destinate a vivere come monadi, chiusi i check point da e per la Cisgiordania e quelli tra le città palestinesi. Tra i civili serpeggia la più grande delle minacce: la rassegnazione. Nel frattempo, le bandiere di Hamas hanno cominciato a sventolare anche qui, soprattutto dopo i funerali dei due palestinesi uccisi domenica durante gli scontri con le forze israeliane avvenuti vicino al check point militare di Qalandya, a nord di Gerusalemme. Hamas ha incitato i combattenti della resistenza nella west bank a unirsi all'operazione.
Ieri è stato un venerdì di rabbia in cui è scorso il sangue: sono almeno 11 i palestinesi rimasti uccisi in Cisgiordania dai proiettili dell'esercito israeliano negli scontri scoppiati durante le manifestazioni di protesta reclamate da Hamas, nelle stesse ore in cui il leader Abu Mazen evocava una nuova Nakba palestinese. Qui, dove in migliaia hanno risposto all'appello a scendere in strada lanciato da Hamas a Gaza nei giorni scorsi, gli scontri con le forze israeliane sono iniziati subito dopo la preghiera del venerdì. A Ramallah, Nablus, Tulkarem, Hebron e Betlemme i confronti più duri.
Se da Gaza, dunque, Hamas semina terrore verso Israele, in Cisgiordania ha come unico obiettivo quello di accreditarsi come l'unica entità politica che ha a cuore il futuro dei palestinesi nell'intero Medio Oriente. E di fronte a questo non avrà nessuna pietà nei confronti della Anp e dei suoi quadri. In seguito alla reazione di Israele, qui hanno cominciato a crescere disordini: su questo punto Abu Mazen è stato molto chiaro, sottolineando il diritto all'autodifesa. L'eventuale apertura di un altro fronte qui è stata molto dibattuta, ritenuta da molti improbabile.
La Cisgiordania non offre, a livello di uomini e mezzi, la stessa potenza di Hamas o di Hezbollah. Questo la rende una facilissima preda della sindrome di Cronos di Hamas. E la prima testa a saltare potrebbe essere proprio quella di Abu Mazen, per mano del fuoco amico.
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