L'ombra della guerra tra Nato e Russia: i segnali da non sottovalutare

Secondo il presidente serbo Alexander Vucic l'Europa è vicino a un conflitto esteso. Cosa c'è di vero e cosa si rischia

L'ombra della guerra tra Nato e Russia: i segnali da non sottovalutare

“Il treno ha lasciato la stazione e nessuno può fermarlo”. Con queste lapidarie parole, il presidente serbo Alexander Vucic ha preconizzato lo scoppio di un più vasto conflitto in Europa. In una recente intervista, Vucic ha affermato di credere che ci stiamo avvicinando agli ultimi giorni di un “possibile ripensamento” su quanto sta accadendo in Ucraina e se le grandi potenze non faranno qualcosa in “un breve lasso di tempo” si è detto “piuttosto sicuro che andremo incontro a un vero disastro”. Un disastro che sarebbe distante, per il presidente della Serbia, solo “tre o quattro mesi”.

Questione di "orgoglio"

Al netto della retorica un po' troppo catastrofista, probabilmente studiata per impressionare l'opinione pubblica occidentale in senso pro Russia, Alexander Vucic sottolinea anche un meccanismo, che possiamo dire perverso nel quadro di un possibile futuro conflitto più esteso, delle attuali relazioni tra Nato e Russia ovvero la fermezza sulle rispettive posizioni per, sostanzialmente, “non perdere la faccia”.

L'Alleanza Atlantica, da un lato, non può permettersi di “perdere” perché ne andrebbe della sua eredità storico/politica di organismo di sicurezza collettiva; perderebbe quindi la propria credibilità come ente sovranazionale in grado di garantire la stabilità del continente europeo, col rischio molto più grande di stuzzicare le velleità espansionistiche di altri attori internazionali a fronte della manifesta incapacità di fornire una deterrenza credibile, soprattutto rispetto a Paesi dotati di un arsenale nucleare, e quindi parallelamente si potrebbe innescare una corsa agli armamenti atomici.

Dal lato russo, per via della retorica del Cremlino sulla guerra, vista come un conflitto esistenziale ovvero dalle cui sorti dipende il futuro stesso della Russia intesa come Stato unitario e sovrano, è imperativo vincere in Ucraina, da cui si capisce il perché della proposta russa di pace che, a tutti gli effetti, è un vero e proprio diktat.

Uno stallo di difficile risoluzione

Il problema di fondo è che l'Ucraina non ha perso e la Russia non ha vinto: tutta la lunghezza del fronte vede attività belliche continue, ma nessuno dei due contendenti ha veramente messo a segno un risultato importante (quindi possibilmente foriero di una reale volontà di trattativa) nell'arco di mesi. La nuova offensiva russa, infatti, si è ancora una volta arenata sebbene gli ucraini siano ormai stabilmente, da tempo, sulla difensiva relegando le azioni offensive solo alle operazioni con droni, siano essi navali o aerei, e con missili di varia natura.

Si dirà che è il leitmotiv di una guerra di attrito, come ampiamente dimostrato nel corso di più di due anni di conflitto, ma un tale tipo di scontro è insostenibile nel lungo periodo da ambo le parti per motivazioni affini e diverse: la Russia non può permettersi una mobilitazione generale nonostante il passaggio a un'economia sostanzialmente di guerra, l'Ucraina è a corto di uomini e di mezzi, ha infrastrutture quasi azzerate, per sostenere ancora a lungo il conflitto. Si capisce bene che in una situazione simile, si attende che sia l'altro a cedere per primo.

Il "cigno nero"

Il recente vertice svizzero “di pace” ha visto l'assenza della Russia ma soprattutto della Cina, che è il vero ago della bilancia dei rapporti tra Mosca e l'Occidente in questo periodo. Se ci aggiungiamo che il Brasile, secondo grande attore insieme alla Cina per le trattative di pace, ha partecipato solo come “osservatore” e India, Indonesia, Messico, Arabia Saudita e Sudafrica non hanno firmato la dichiarazione finale del vertice, nonostante alcune questioni controverse siano state omesse nella speranza di ottenere un sostegno più ampio, ne capiamo bene il fallimento diplomatico.

Quindi ha ragione Alexander Vucic? Non del tutto. Sicuramente il rischio che la situazione degeneri in modo irreparabile esiste, come esiste sempre quando scoppia una guerra, limitata o meno che sia. Soprattutto esiste la concreta possibilità che un banale incidente, un evento totalmente imprevedibile (quello che in analisi si chiama “cigno nero”), porti a conseguenze catastrofiche. Quando, infatti, le forze armate di due avversari si confrontano molto da vicino, con continue provocazioni per testare le reciproche difese, la probabilità dell'errore umano del singolo aumenta.

Non bisogna poi dimenticare che si tende a considerare governi e capi di Stato come entità razionali, quando invece, essendo esseri umani o composti da tali, l'emotività gioca un ruolo non secondario quando ci sono situazioni di forte stress, pertanto le decisioni prese ne risentono.

Vogliamo però essere ottimisti.

La mobilitazione internazionale per la pace che ha riscosso comunque un'ampia maggioranza, il perdurare di canali di comunicazione tra le parti in lotta, l'attivismo di Paesi neutrali per arrivare almeno a una tregua (sebbene la Cina non possa essere considerata esattamente tale per via della fornitura di droni che la Russia usa sul campo di battaglia), sono segnali che il “treno” citato da Vucic può essere ancora fermato.

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