"Donne israeliane nelle gabbie". L'orrore di Hamas sugli ostaggi

La testimonianza è stata condivisa da un membro del Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi. Continua la guerra psicologica dei terroristi, che vogliono apparire "buoni" trattando bene i prigionieri

"Donne israeliane nelle gabbie". L'orrore di Hamas sugli ostaggi
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Gli ostaggi rilasciati in questi giorni da Hamas hanno iniziato a raccontare ciò che hanno vissuto durante i 50 giorni di prigionia nella Striscia di Gaza. Il Jerusalem Post ha riportato una testimonianza, condivisa su X da un membro del Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi. “Le donne tenute prigioniere da Hamas trascorrevano la maggior parte del tempo in gabbia. Sì, avete letto bene: nelle gabbie”.

Parole che sembrano suonare in netto contrasto con la lettera condivisa dai terroristi lunedì 27 ottobre e presumibilmente scritta da Danielle Aloni, rapita il 7 ottobre assieme alla figlia Emily di cinque anni. Nella missiva, la donna ha ringraziato Hamas per la “solidarietà umana” dimostrata nei confronti della bambina, “che si è sentita come una regina”. Per i sostenitori dell’organizzazione palestinese questa è la prova della bontà dei “combattenti della resistenza”, ma è chiaro che si tratta dell’ennesima cartuccia sparata dai terroristi nella loro campagna di guerra psicologica contro Israele, volta a indebolire il governo di emergenza e a guadagnare il supporto dell’opinione pubblica occidentale contro i “cattivi” ebrei.

Ne è una prova il fatto che la famiglia Aloni non ha mai confermato né che Danielle abbia scritto la lettera, né le dichiarazioni in essa contenute. Anche se fosse stata vergata di suo pugno, non è difficile pensare che la donna abbia fatto qualunque cosa per proteggere sua figlia e sé stessa dai propri aguzzini. Secondo i media israeliani, inoltre, questa missiva è solo una delle tante che gli ostaggi sarebbero stati costretti a scrivere.

Sempre nell’ottica di apparire come “i buoni”, pare che gli uomini di Hamas non abbiano torturato o abusato fisicamente degli ostaggi. Essi, dopotutto, erano e sono tutt’ora una merce preziosa per assicurarsi una pausa dai combattimenti e riorganizzare le proprie difese che, fino a prima della tregua, si sono dimostrate incapaci di rallentare l’avanzata delle Idf.

Da alcune testimonianze, però, è emerso il fatto che non vi sia stato un rifornimento costante di cibo per i prigionieri. “Ci sono stati giorni in cui non avevano provviste, quindi hanno mangiato solo pane pita”, ha raccontato Mor Munder, parente di uno degli ostaggi liberati venerdì 24 novembre. “Non sono stati torturati, ma ci sono stati giorni in cui hanno avuto a malapena del cibo, e negli ultimi giorni hanno mangiato solo pochissimo riso”.

Altre persone liberate, inoltre, hanno riferito delle loro preoccupazioni “dell’ultimo minuto” su possibili tentativi da parte dei terroristi di Hamas e dei cittadini di Gaza di attaccarli durante il loro viaggio verso casa. “Fino all’ultimo momento non eravamo sicuri.

Pensavamo che ci avrebbero linciati sulla strada per Israele”. Viene da chiedersi il motivo di questi timori se, nella guerra in corso in Medio Oriente, gli uomini dell’organizzazione palestinese sono “i buoni”.

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