“Gli attacchi di Hamas contro le città e i villaggi israeliani, così come il lancio di migliaia di razzi su località abitate, rappresentano un’escalation seria e grave”, che deve cessare immediatamente. L’inequivocabile condanna del movimento terroristico non arriva da un Paese occidentale storicamente allineato con Israele, ma dagli Emirati Arabi Uniti. Legata a Tel Aviv da tre anni con un accordo di pace, Abu Dhabi sembra aver scelto da che parte stare.
Il ministero degli Esteri Abdullah bin Zayed Al Nahyan si definisce “sconvolto” dalle notizie sui rapimenti dei civili israeliani e sottolinea che il diritto internazionale proibisce questo trattamento dei non combattenti. Inoltre, esprime le sue condoglianze alle famiglie delle vittime: “Piango profondamente sia gli israeliani, sia i palestinesi uccisi”. Il suo invito alla comunità internazionale è lavorare per ridurre la violenza ed evitare che il conflitto si estenda altrove.
L’”effetto contagio” è una preoccupazione che attraversa tutti gli Stati del Medio Oriente e, man mano che la reazione israeliana si intensifica, aumenta il rischio di un allargamento del fronte. Poche ore dopo l’inizio degli attacchi di Hamas, gli Hezbollah libanesi hanno condotto piccole azioni offensive al confine nord d’Israele. Tra sabato e domenica, un tentativo di assalto con le motociclette è stato respinto e le due parti si sono scambiate colpi di mortaio e artiglieria. La situazione al momento rimane stabile, ma Tel Aviv sta spostando truppe verso la frontiera settentrionale e il coinvolgimento diretto dell’Iran nell’operazione palestinese potrebbe rendere queste scaramucce un preludio all’apertura di un altro campo di battaglia. Una prospettiva che, al momento, non è nell’interesse di Israele, che sta concentrando le sue risorse per l’invasione della Striscia di Gaza. Nel pomeriggio del 9 ottobre, però, l'Idf ha fatto sapere di aver respinto un'incursione armata proveniente dal Libano, segno che anche su questo lato la situazione potrebbe precipitare.
Il rischio, però, rimane alto e da molti Paesi arabi arrivano appelli per una de-escalation. L’Egitto invita ad usare “la massima moderazione e a evitare di esporre i civili ad ulteriori rischi”, sottolineando che un aumento delle violenze influirà negativamente sui tentativi di raggiungere una tregua. Parole simili arrivano dal Bahrain, il cui ministro degli Esteri scrive in un comunicato che bisogna “preservare la vita delle persone” e che un proseguimento del conflitto “ostacolerà gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura in Medio Oriente”. Secondo le autorità di Manama, la soluzione è lavorare “per stabilire lo Stato palestinese secondo la soluzione dei due Stati”.
Anche l’Arabia Saudita chiede “l’immediata cessazione delle ostilità” tra le due parti in guerra e invita alla moderazione, ricordando però “i ripetuti avvertimenti” di Riad “sui pericoli di un'esplosione della situazione a causa del perdurare dell'occupazione, della privazione del popolo palestinese dei suoi diritti legittimi e del ripetersi di provocazioni sistematiche”. Qatar e Kuwait, invece, ritengono Israele il solo responsabile per lo scoppio di questo conflitto, a causa della "protratta occupazione" dei territori palestinesi e delle "continue e palesi violazioni del diritto internazionale" da parte di Tel Aviv.
Infine la Lega Araba, l'organizzazione che riunisce 22 Stati tra Nord Africa, Medio Oriente e Corno d'Africa, condanna la violenza "da entrambe le parti" ed è a favore di "un cessate il fuoco immediato tra palestinesi e israeliani".
Il segretario dell'organizzazione Ahmed Aboul Gheit, in visita a Mosca, afferma che "questi eventi anche se non a questo livello di violenza continueranno a verificarsi a causa della mancanza di prospettive politiche o tentativi di risolvere il problema palestinese".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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