
Gentile Direttore Feltri,
la proposta di Donald Trump di spostare i palestinesi da Gaza per trasformare la Striscia in una sorta di paradiso turistico favorendone lo sviluppo economico rischia di minare la tregua tra Israele e Hamas, mettendo a rischio anche la consegna degli ostaggi da parte dei miliziani. A me oltretutto pare una sciocchezza. Insomma non ne comprendo il senso. I Paesi che dovrebbero accogliere i palestinesi, come l'Egitto, si sono rifiutati e ribellati alla proposta del presidente degli Stati Uniti e non hanno tutti i torti. Lei che cosa ne pensa?
Francesca Lupi
Cara Francesca,
mi piace molto il presidente Trump, il quale sta contribuendo in maniera tangibile alla creazione delle condizioni per la pace anche sul fronte ucraino. La notizia della telefonata di un'ora tra lui e Putin lascia ben sperare, in quanto essa segna di fatto la ripresa dei contatti tra l'Occidente e la Russia, un avvicinamento, un disgelo, che è precondizione necessaria perché la guerra abbia fine. Il peso di Trump è stato notevole pure nell'ambito del conflitto in Medio Oriente. Insomma, di quest'uomo si diceva e tuttora si dice che costituisca un pericolo globale, eppure stiamo meglio da quando si è insediato al posto di Biden.
Tuttavia, nemmeno io condivido la sua idea di spostare i palestinesi da Gaza per avviare la ricostruzione. Innanzitutto, i palestinesi sono appena rientrati nella Striscia e in quello che resta delle loro abitazioni, in gran parte rase al suolo. Non vi restano che macerie, ma essi sono lieti di avervi fatto ritorno. Ho visto in tv qualche intervista fatta da cronisti sul posto alle persone che sorridenti facevano ritorno a casa. Mi hanno colpito le parole di una donna che diceva: «Non ho più una casa ma sono felice di tornare», interpretando un sentire collettivo. Siamo tutti legati ai luoghi natali, che rappresentano il nostro nido, pure quando il tetto manca, quello è il posto in cui è il nostro cuore. Sfollare migliaia e migliaia di individui per rimuovere le macerie e riedificare un'area mi pare una stronzata. La prospettiva di fondo è errata, ovvero si guarda ai palestinesi come individui che devono consegnare casa perché questa venga ristrutturata per poi eventualmente tornarci a lavori terminati, chiavi in mano.
È un'ottica commerciale, pericolosa dal punto di vista politico in quanto genera nel popolo palestinese il sospetto che qualcuno voglia fregarli, ovvero che qualcuno intenda adoperare la scusa della ricostruzione per ostracizzarli. E questo rischio, il rischio di essere fraintesi e di fomentare certe paure, deve essere evitato, dato che è incompatibile con il clima di pace che intendiamo creare. Penso semmai che il popolo palestinese debba contribuire con le sue proprie mani alla ricostruzione, deve esserne parte integrante, autore e veicolo. La forza lavoro non deve essere importata, essa è già disponibile sul territorio. E i palestinesi hanno un gran bisogno di lavorare. È tramite il lavoro che si favoriscono sviluppo e crescita economica.
Quindi, quale migliore occasione della ricostruzione per produrre occupazione? Il lavoro salva sempre, salva dalla fame, salva anche dalla disperazione.Dunque, che siano i palestinesi a ricostruire la Striscia, a realizzare il progetto di Trump di fare di quel luogo una sorta di paradiso costiero all'avanguardia. Prospero e felice.
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