La situazione nel Sud del Libano è complessa e in costante evoluzione. Israele prosegue nelle incursioni di terra, i militari dell’Unifil si sono trovati più volte sotto il fuoco delle Idf e gli Hezbollah, nonostante la decapitazione dei loro vertici, continuano a combattere. Nel fitto della nebbia di guerra, non sempre è possibile raccogliere testimonianze da tutte le parti coinvolte. Salman Hareb è la voce del braccio armato del Partito di Dio per il Sud del Libano, il responsabile dei rapporti con i media per l’area del Paese dei cedri al centro delle operazioni militari. Intervistato da Fausto Biloslavo, ha dipinto la visione che il movimento sostenuto dall’Iran ha della situazione.
Secondo Hareb, il progetto di Tel Aviv è chiaro: "Israele vuole creare insediamenti nel Sud del Libano, come a Gaza, e replicare il modello che da anni stanno attuando in Cisgiordania. È il nuovo ordine mediorientale voluto da Benjamin Netanyahu". Lo Stato ebraico, però, non sarebbe in grado di concretizzare questo piano perché, esattamente come nella Striscia, la pretesa di poter neutralizzare gli Hezbollah si starebbe dimostrando sempre più difficile. "Gli israeliani vanno avanti di due o trecento metri e poi se ne vanno via. Sino adesso non sono stati in grado di prendere possesso di significative porzioni di territorio, anzi sono maggiori le perdite subite che i guadagni messi a segno", ha spiegato l'esponente del Partito di Dio, pur ammettendo che la morte di Hassan Nasrallah e l'uccisione dei vertici del movimento sia stato un momento difficile.
Questo, però, non avrebbe compromesso le capacità dei miliziani libanesi che, stando alle parole di Hareb, hanno "molte carte da giocarsi ancora" e costringeranno gli israeliani in una guerra lunga, durante la quale non sarà possibile la replica di una situazione simile a quella del 1982, quando le truppe dello Stato ebraico sono arrivate sino a Beirut, perché "la resistenza è forte ed efficace".
Per quanto riguarda l'Iran, principale finanziatore e sostenitore degli Hezbollah, l'esponente del movimento ha riconosciuto l'importanza dell'operato della Repubblica islamica, che ha reso possibile la creazione di "un’importante realtà come quella dell’asse della Resistenza" tramite l'invio di armi e denaro e l'addestramento dei combattenti. Al momento, però, secondo Hareb "Hezbollah non ha bisogno che intervenga, abbiamo capacità e strumenti tali da potere agire per conto nostro".
Il responsabile per i media del Partito di Dio ha anche ricordato che il movimento è aperto a discutere di un cessate il fuoco, ma solo a condizioni "eque e giuste", ovvero nessuna invasività da parte di Israele e l'aiuto alla popolazione di Gaza.Leggi l'intervista integrale domani su il Giornale
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