Bakhmut, assediata da agosto, probabilmente non cadrà né domani, né dopodomani. Ma poco importa. La battaglia che si combatte tra le sue rovine non è più militare, ma politico-strategica. Tra le sue macerie, disseminate di cadaveri, non si decide l'avanzata russa su Kramatorsk e gli altri territori del Donetsk ancora in mano ucraina, ma il futuro assetto dell'apparato militare di Mosca. Un apparato che ha tradito, fin qui, ogni aspettativa portando allo scoperto le inefficienze create da decenni di malversazioni e da generazioni di generali inadeguati e corrotti. Un problema già affrontato dopo la seconda guerra cecena e dopo quella in Georgia dell'agosto 2008. In entrambe quelle missioni le forze armate russe esibirono un'inadeguatezza solo apparentemente risolta dalle riforme affidate al ministro della Difesa Anatoly Serdyukov prima e a Sergei Shoigu poi. Ma si trattava di riforme di facciata inadeguate a trasformare l'armata ereditata dall'Unione Sovietica in una forza moderna e professionale.
Così la guerra in Ucraina diventa l'occasione obbligata per mettere alla prova due diversi modelli. Il primo, sperimentato sul campo di battaglia di Bakhmut, è quello della Wagner, la compagnia militare privata guidata da Eugeny Prigozhin già impiegata in Siria e Libia oltre che sugli altri fronti del conflitto ucraino. Il secondo modello, assai più vasto e complesso, è quello affidato a Sergej Surovikin, il cosiddetto generale Armageddon, impegnato non solo a distruggere a colpi di missile le infrastrutture strategiche nemiche, ma soprattutto, a riorganizzare la mobilitazione dei riservisti e a ristrutturare le linee di difesa e contrattacco sul fronte ucraino. I due modelli, inconciliabili nell'ambito di una struttura militare classica, rappresentano la svolta necessaria al Cremlino per superare l'attuale impasse e trovare un'alternativa ai fallimenti di un ministro della Difesa - Sergei Shoiugu - e di un Capo di stato maggiore - Valery Gerasimov - già ridimensionati ad un rango puramente formale.
L'evoluzione più radicale è sicuramente quella di Bakhmut. Lì la Wagner e il suo capo Yevgeny Prigozhin, attentissimi fino ai primi di agosto a mantenere un bassissimo profilo pubblico e ad operare con estrema segretezza anche sui campi di battaglia, hanno radicalmente cambiato registro. Da allora i discorsi di Prigozhin, con tanto di campagne di arruolamento nelle carceri, e i video dei suoi «musicisti», ripresi nel corso di temerarie operazioni di prima linea, hanno letteralmente invaso i canali Telegram. Così, in pochi mesi, una forza abituata ad agire nell'ombra e un boss quasi invisibile si sono trasformati in protagonisti di primo piano del conflitto. Ma l'uscita allo scoperto di un «fedelissimo» del Presidente e dei suoi contractors ha ovviamente una valenza specifica. La loro esposizione mediatica contribuisce all'affermazione e alla crescita di quel partito della guerra che ha proprio in Prigozhin uno degli esponenti più popolari e determinati. Così la presenza manifesta del boss della Wagner, oltre a garantire il consenso dell'opinione pubblica più irriducibile, agevola la continuazione di uno sforzo bellico rivelatosi, umanamente ed economicamente, assai più costoso della fallita «operazione speciale». Anche perché il peso delle operazioni più complesse viene così trasferito nelle mani di una forza privata a cui è permesso, come già successo in Siria e Libia, d'incamerare le risorse naturali o le infrastrutture economiche strappate al nemico. E questo garantisce un doppio vantaggio.
Il primo è che i volontari caduti con le insegne della Wagner non pesano sui bilanci umani ed economici della Federazione. Il secondo è contare su un'unità di sfondamento capace d'auto-finanziarsi con le proprie conquiste evitando così le ruberie e le malversazioni diventate l'incurabile piaga delle forze armate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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