I colloqui atomici tra Usa e Cina e l'ombra nucleare su Taiwan: cosa può succedere

I rappresentanti di Washington e Pechino si sono trovati al tavolo dei colloqui informali per discutere sulla dottrina nucleare della Cina e del suo possibile uso di armi atomiche in caso di sconfitta a Taiwan

I colloqui atomici tra Usa e Cina e l'ombra nucleare su Taiwan: cosa può succedere
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Nelle ultime settimane, i riferimenti alle armi nucleari sono diventati parte integrante della retorica di fuoco tra Stati Uniti e Russia. Vi è però un altro potenziale teatro bellico che preoccupa Washington: Taiwan. I due attori principali che sarebbero coinvolti in questo possibile scenario, gli Usa e la Cina, si sono ritrovati nel marzo scorso attorno al tavolo dei colloqui informali sugli arsenali atomici per la prima volta dopo cinque anni.

Secondo quanto riportato da Reuters, i rappresentanti di Pechino hanno assicurato ai loro interlocutori americani che la Repubblica popolare non farà ricorso ad armi di distruzione di massa nel caso di una sconfitta in una guerra per il controllo dell’isola. "Hanno detto agli Stati Uniti di essere assolutamente convinti di poter prevalere in uno scontro convenzionale su Taiwan senza usare armi nucleari”, ha dichiarato David Santoro, l’organizzatore dei colloqui Track Two (diplomazia parallela), aggiungendo che entrambe le parti hanno mostrato una certa “frustrazione” ma hanno anche convenuto sulla necessità di proseguire questi incontri. Una seconda riunione dovrebbe tenersi nel 2025.

Nell’ottobre scorso, il Pentagono ha affermato che la Cina “prenderebbe in considerazione anche l'uso del nucleare per ripristinare la deterrenza se una sconfitta militare convenzionale a Taiwan” dovesse minacciare la tenuta del regime di Pechino. Secondo gli esperti statunitensi, inoltre, l’arsenale atomico della Repubblica popolare è cresciuto del 20% tra il 2021 e il 2023. Il dipartimento della Difesa Usa ha stimato a 500 il numero di testate nucleari operative a disposizione della Cina, che arriveranno probabilmente a 1.000 entro il 2030. Dall’inizio del secondo decennio del 2000, inoltre, le forze armate di Pechino hanno modernizzato il loro arsenale avviando la produzione di nuovi sottomarini armati con missili balistici, testando vettori ipersonici e conducendo regolari pattugliamenti marittimi con vascelli dotati di armi atomiche.

A seguito di tutti questi sviluppi, la delegazione statunitense inviata ai colloqui informali ha voluto discutere il mantenimento da parte di Pechino della sua politica di no-first-use e di deterrenza minima, ovvero il possesso di armi atomiche sufficienti a dissuadere i propri avversari da un attacco. Stando a quanto riferito da David Santoro, i rappresentanti cinesi hanno dichiarato che Pechino ha intenzione di mantenere queste posizioni e che non ha interesse a raggiungere “la parità nucleare con voi (gli Stati Uniti, ndr), tanto meno la superiorità”.

Secondo il dipartimento di Stato Usa, però, il fatto che Pechino non voglia “impegnarsi concretamente” nelle discussioni sul suo sviluppo nucleare in colloqui Track One solleva interrogativi sulla sua “già ambigua politica del ‘non primo uso’ e sulla sua dottrina nucleare in generale”.

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