Hamas getta la maschera: "Non vogliamo governare Gaza, ma la guerra permanente"

Due membri di alto rango dell'organizzazione hanno confermato l'obiettivo dell'organizzazione terroristica: portare avanti la guerra contro Israele senza preoccuparsi dei civili palestinesi

Hamas getta la maschera: "Non vogliamo governare Gaza, ma la guerra permanente"
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I terroristi di Hamas hanno gettato definitivamente la maschera. In un’intervista al New York Times, il membro del politburo dell’organizzazione palestinese Khalil al-Hayya ha detto chiaramente che “l’obiettivo di Hamas non è governare Gaza e portarle acqua, elettricità o cose del genere. Questa battaglia non è avvenuta perché volevamo carburante o manodopera, non cercavamo di migliorare la situazione a Gaza”.

La speranza è che lo stato di guerra con Israele diventi permanente su tutti i confini e che il mondo arabo sia al nostro fianco”, ha aggiunto Taher El-Nounou, consulente del movimento per i media. Gli oltre 10mila morti denunciati da Hamas, dunque, sono diventati un prezzo accettabile e necessario per “cambiare l’intera equazione”, riportare l’attenzione sulla questione palestinese e fare in modo che “nessuno nella regione sia più tranquillo”. I due rappresentanti di Hamas hanno anche ammesso che si aspettavano “una reazione grande ad un atto grande”, un riferimento ai massacri del 7 ottobre, ma “dovevamo far vedere alla gente che la causa palestinese non sarebbe morta”.

Una dichiarazione onesta, quella di Khalil al-Hayya e Taher El-Nounou, che fuga ogni dubbio su una realtà che in molti hanno già sottolineato ma che alcuni, troppi, continuano a non voler vedere: Hamas non combatte per la libertà dei della sua gente, non ha a cuore i civili e non vuole portare avanti le trattative con Israele per una soluzione pacifica e duratura. È un’organizzazione di terroristi che, negli anni, ha usato i palestinesi come scudi umani, sfruttando il loro sangue per portare avanti un’agenda politica che prevede la distruzione dello Stato ebraico e il massacro degli ebrei.

I vertici del movimento erano ben consapevoli che la risposta di Israele all’operazione “diluvio al-Aqsa” sarebbe stata dura e che i primi ad andarci di mezzo sarebbero stati gli innocenti, da una parte e dall’altra. È dunque sbagliato e assurdo definire gli attacchi del 7 ottobre “un’operazione militare”, come fatto da molti detrattori di Tel Aviv. Anzi, viene immediato il paragone con la “soluzione finale” di Hitler: il dittatore nazista ha impiegato notevoli quantità di uomini e risorse, sottraendoli allo sforzo bellico, per uccidere il maggior numero di ebrei nel minor tempo possibile. Hamas ha privato la popolazione di denaro, infrastrutture e beni necessari al miglioramento delle condizioni di vita nella Striscia per armarsi, addestrarsi e lanciare un attacco mirato a massacrare il più alto numero di cittadini israeliani nel giro di poche ore.

Sono molti i commentatori e i politici occidentali che attaccano Netanyahu e le Idf per le loro operazioni a Gaza, definendole “una risposta sproporzionata”.

Il fatto che i civili finiscano vittime dei bombardamenti è sicuramente una tragedia, ma il loro sangue è sulle mani di Hamas e Tel Aviv non può permettersi di continuare a convivere con un’organizzazione la cui esistenza è legata a doppio filo con l’annientamento della popolazione ebraica.

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