Gli odiatori europei della causa ucraina dal premier filorusso ungherese Viktor Orbàn giù giù fino all'ultimo leone da tastiera nostrano - sono soliti sbeffeggiare Volodymyr Zelensky paragonandolo a un accattone. Dal loro punto di vista, il leader di un Paese europeo aggredito che continua a girare le cancellerie occidentali per ottenere armi, garanzie politiche e sostegno economico per continuare a combattere una lotta mortale merita dileggio, invece che ammirazione. Questi «osservatori» vorrebbero imporre a Zelensky la via del negoziato, fingendo di ignorare che Vladimir Putin siglerebbe una pace solo al prezzo delle famose «denazificazione e demilitarizzazione» dell'Ucraina: ovvero dell'inaccettabile se non dagli odiatori di cui sopra - imposizione di un regime filorusso a Kiev.
Il leader ucraino, invece, crede ancora che un altro epilogo di questa bruttissima storia sia possibile, e lo ha ribadito ieri a Bruxelles al vertice Ue cui è stato invitato. Zelensky deve però fare i conti con la distanza tra le promesse quelle di forniture sufficienti per continuare a combattere e quella di un'adesione del suo Paese alla Nato - e i fatti, o quantomeno i tempi della loro attuazione. Una distanza che comincia a palesarsi come preoccupante, nel momento in cui Il leader ucraino cerca di far mettere ai suoi alleati le carte sul tavolo. Zelensky ha chiarito che la lotta contro l'invasore russo continuerà anche se il «piano per la vittoria» da lui presentato non fosse sostenuto dagli alleati occidentali, ma ha insistito sull'importanza dei suoi cinque punti: ingresso dell'Ucraina nella Nato, aumento delle sue capacità difensive, deterrenza verso nuove aggressioni russe, crescita economica, architettura di sicurezza dopo la fine del conflitto.
La sostanza del piano è che Kiev sarà disposta a usare la diplomazia con Putin solo da una posizione di forza. In mancanza di questo, il futuro dell'Ucraina di fronte a un nemico spietato ma anche quello del resto dell'Europa, secondo buona parte dei Paesi membri della Nato sarà cupo. Il problema è, come si diceva all'inizio, che il piano di Zelensky incassa più parole che fatti. La quasi totalità dei Ventisette (con la prevedibile eccezione categorica dell'Ungheria e parziale della Slovacchia) esprime un generico «forte sostegno», ma poi Zelensky si trova costretto a insistere per ottenere lo sblocco effettivo dei 35 miliardi di euro derivanti dagli interessi degli asset russi congelati nelle banche europee, mentre lo stesso nuovo segretario generale della Nato Rutte non sostiene «in toto» il piano e rimane generico sui tempi di una futura adesione ucraina.
Mosca continua intanto a giocarsi la carta di una finta disponibilità al dialogo negoziale. Lo ha fatto ancora ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peshkov, dicendo che Putin sarebbe «in teoria» aperto a parlare con il cancelliere tedesco Olaf Scholz che glielo aveva proposto giorni addietro senza ottenere nemmeno una risposta. E' sempre interesse di Putin cercare di spezzare il fronte europeo filoucraino, specialmente in un momento in cui la sua guerra non funziona come sperato. Lo dimostrano le notizie d'intelligence, confermate da Zelensky a Bruxelles, del prossimo invio in Russia di diecimila soldati nordcoreani.
Che servano per aiutare Putin a riconquistare il Kursk o per sfondare nel Donbass non è chiaro, ma come Zelensky ha fatto notare ieri giustamente- rappresentano non solo la debolezza militare della Russia, ma soprattutto un passo inquietante verso una guerra mondiale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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