È ormai assodato che i social siano uno strumento di propaganda particolarmente efficace. Da quando esistono vengono utilizzati con particolare successo a questo scopo. Ma raramente emergono evidenze che vengano impiegati anche come strumento di arruolamento parallelo, per "milizie" non ufficiali, in particolare Instagram. Noi de il Giornale abbiamo trovato una vera e propria "call" per arruolare volontari in Cisgiordania, pubblicizzata anche da alcuni profili pro-Palestina italiani piuttosto seguiti, allo scopo di "unirsi al movimento che resiste all'occupazione delle terre palestinesi attraverso la presenza protettiva nei villaggi". Ma cosa significa?
Va fatta una premessa, perché esistono due presentazioni diverse della stessa iniziativa sui social. O meglio, il profilo italiano è esplicito nello spiegare il fine della "chiamata" mentre nel profilo internazionale la stessa "call" viene venduta come strumento per la protezione della raccolta delle olive nel Westbank. È probabile che i gestori della pagina internazionale abbiano voluto mascherare il vero scopo per evitare oscuramenti da parte di Instagram, che non accetta certi tipi di contenuti. E che sia una semplice "copertura", se non un messaggio in codice, quello presente nel profilo internazionale è evidente andando a vedere la pagina internet dell'iniziativa.
Si tratta di un sito molto semplice, con due sole pagine: "Chi siamo" e "Unisciti a noi". Ed è proprio su queste pagine che viene spiegato che questa è "è un'iniziativa guidata dai palestinesi per rispondere al disperato bisogno di organizzare sul campo la protezione civile internazionale dalla violenza israeliana". Si fregia di avere un non ben specificato sostegno della società civile palestinese in Cisgiordania e di tutto lo spettro politico ma è impossibile risalire ai vertici di questa organizzazione. La missione, spiegano, è quella di "costruire una forte rete internazionale di solidarietà con una forte capacità di azione ed efficacia. Mobilitare una presenza di massa di internazionali sul terreno, fornendo protezione diretta ai palestinesi, sotto la guida palestinese locale". Ma anche "costruire, riabilitare e rafforzare la capacità palestinese per il sumud (tenendo la terra) e per riconquistare terreno che è stato perso a causa della violenza israeliana, nel senso più letterale possibile".
È evidente che le "olive" presentate sui social non c'entrino nulla ma si tratti dell'arruolamento di soggetti attivi nella guerra contro Israele, forse di una milizia internazionale che dipenda dalle forze palestinesi in loco. E in un successivo passaggio in cui sottolineano che questa è una "coalizione apartitica di attivisti palestinesi veterani, giovani attivisti, studenti e altro" spiegano anche che "non è un'organizzazione di beneficenza". Quindi spiegano molto bene, tra le righe, che i volontari non vanno lì a fornire supporto umanitario ma il loro ruolo sarà più attivo nel conflitto. Ma come funziona l'arruolamento? Il primo contatto avviene mediante la compilazione di un modulo in cui si indicano i propri recapiti e in cui si comunica quale sia la propria disponibilità. Viene richiesta una presenza di almeno due settimane in Cisgiordania "ma preferiamo un impegno a lungo termine a causa della grande quantità di formazione richiesta da questo tipo di lavoro". La formazione dura due giorni e consiste in pratiche di orientamento, diritti e obblighi legali, principi e tattiche di intervento non violento e de-escalation, documentazione ma, soprattutto, "aderenza alla leadership palestinese".
Durante la formazione, che si tiene ogni due mercoledì, vengono quindi spiegate tattiche di intervento non violento allo scopo di "riconquistare terreno che è stato perso"? Sembra quasi un controsenso ma è più probabile che questo tipo di addestramento ne preveda un altro non dichiarato per raggiungere il vero scopo di questa chiamata in Westbank. Anche perché i volontari, al termine della formazione, "saranno dislocati presso le comunità minacciate, e potrebbero essere mobilitati in caso di emergenza laddove necessario". La formazione dicono sia funzionale alla "protezione diretta dei civili palestinesi davanti alla violenza e agli attacchi dei coloni israeliani" e alla documentazione, ma la protezione, se c'è violenza, non può essere il semplice frapporre il corpo tra le due parti. Anche perché sarebbe la chiamata per arruolare carne da macello.
I volontario dovranno sostenere personalmente tutte le spese, sia di viaggio che di alloggio, e non esiste un compenso per chi deciderà di arruolarsi come volontario in questa campagna. Viste le migliaia di giovanissimi che scendono in piazza in Italia in solidarietà con la Palestina, e a fronte della manifestazione che si terrà a Roma per celebrare l'assalto di Hamas in Israele, ci si aspetterebbe l'adesione di molti alla campagna. Eppure, almeno per quanto è dato vedere, non è così. Non ci sono messaggi entusiasti, non ci sono richieste di informazioni e non ci sono volonterosi volontari pronti a partire per la Palestina.
Perché finché c'è da stare comodi a gridare slogan nelle città, a inneggiare ad Hamas nei cortei, accusando le forze dell'ordine italiane di essere strumento del dissenso, ci sono tutti. Quando hanno la possibilità di fare qualcosa di concreto, di mettere in pratica gli strepiti di piazza, tutti restano sotto le gonnelle di mammà.
Chi ha ideato questa campagna probabilmente si era illuso di trovare migliaia di giovani volenterosi, in Italia e in generale in Occidente, tra quelli che da un anno quasi riempiono le piazze. Ma preferiscono gridare alla dittatura nei Paesi democratici, dove sanno di essere al sicuro, di tornare a casa e trovare il pranzo e la cena pronta. Al massimo un rimbrotto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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