Una giornata pregna di "confessioni" quella di Benjamin Netanyahu che, al cospetto della Knesset, ha rivelato nuovi e inediti dettagli sull'"operazione cercapersone" che ha ucciso e seminato il panico tra le fila di Hezbollah lo scorso 17 settembre. Il premier, nei giorni scorsi, aveva confermato per la prima volta la responsabilità israeliana nelle esplosioni che avevano causato 40 morti e migliaia di feriti.
Secondo il primo ministro israeliano, Tel Aviv aveva deciso di lanciare l'operazione nel mese di settembre, in anticipo sulla tabella di marcia, perchè il movimento era a un passo dallo scoprire le trappole esplosive piazzate dall'intelligence israeliana. Il suo gabinetto, poi, aveva pianificato di lanciare un attacco contro Hezbollah nel mese di ottobre, a un anno dall'attacco di Hamas, ma si è visto costretto ad anticipare la pianificazione "quando le nostre armi segrete stavano per essere scoperte". Israele continuerà a operare "militarmente" contro Hezbollah anche se venisse raggiunto un accordo di cessate-il-fuoco con il Libano. Per Netanyahu, "la cosa più importante non è l'accordo che sarà messo nero su bianco. Saremo costretti a garantire la nostra sicurezza nel nord di Israele e a condurre sistematicamente operazioni contro gli attacchi di Hezbollah" per impedire al gruppo di riprendersi. "Non gli permetteremo di tornare allo stato in cui si trovavano il 6 ottobre 2023", ha ribadito al Parlamento israeliano.
Il leader ha anche sottolineato che fra i suoi collaboratori vi era chi sosteneva di comunicare preventivamente a Washington le intenzioni israeliane, ma Netanyahu si sarebbe opposto perchè questo avrebbe potuto portare a una resistenza o a una fuga di notizie Per questa ragione ha negato l'informativa e ha deciso di passare all'azione. Nel divieto di informare gli Usa rientrava anche il piano per uccidere il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, dopo averne discusso sul suo volo che lo portava a New York-dopo una serie di ritardi e rinvii- per il suo discorso all'Onu. "Due ore dopo, ho chiamato il ministro della Difesa e il capo di stato maggiore dell'IDF e ho detto che dovevamo ferlo fuori. Quando siamo atterrati a New York, abbiamo convocato il gabinetto di sicurezza. C'era quasi una maggioranza assoluta. Una persona ha sostenuto un'opinione diversa, ma l'intero gabinetto l'ha sostenuta e abbiamo preso la decisione, è stata eseguita, e il resto è noto".
Sul tenere all'oscuro gli Stati Uniti di alcune scelte recenti, Netanyahu è tornato più volte nel suo discorso. Soprattutto ha voluto sottolineare un certo fastidio per i consigli di Joe Biden e dell'intera amministrazione Usa, rea di fornire suggerimenti "fuori luogo". Ad esempio, gli Usa avevano delle riserve e suggerivano di non entrare a Gaza, ma soprattutto a Khan Yunis e, cosa più critica, si opponevano fermamente all'ingresso a Rafah.
Su questo punto Biden avrebbe post l'aut-aut: se le Idf fossero entrate a Gaza, gli israeliani sarebbero rimasti da soli. Stessa cosa dicasi per il rifiuto di inviare nuove armi, confermato dalla visita del Segretario Blinken: "combatteremo con le unghie", gli aveva risposto Netanyahu.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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